foto di ©Roberto de Biasio
«Non lasciate che mi facciano schiava di guerra»: è questo il grido delle donne tebane mentre sentono che il nemico sta avanzando verso la loro città per impossessarsene. Il nemico è Polinice, fratello del loro re, Eteocle, figli di Edipo, sui quali grava la maledizione della famiglia paterna. Si trovano molti degli elementi delle guerre odierne nella rappresentazione Sette a Tebe, andata in scena, in prima nazionale, dal 21 al 23 settembre, al Teatro Olimpico di Vicenza, a cura degli attori del PEM (Potenziali Evocati Multimediali), per la regia di Gabriele Vacis. L'occasione è stata l'apertura del 76° Ciclo di spettacoli classici, ancora una volta con la direzione artistica di Giancarlo Marinelli. Il tema, dunque, resta attuale: la guerra. Ma interpretato da attori giovani, dai 23 si 26 anni, che di guerra non sanno nulla, se non attraverso le narrazioni altrui, un bisnonno, una nonna, un amico, a cui le bombe hanno massacrato la famiglia o sventrato la casa. La rappresentazione, dunque, si divide in due momenti. La prima parte ci riporta al dramma dell'assedio di Tebe, che tanto somiglia a quello di Sarajevo, e che è sicuramente meno noto di quello di Troia. Nella seconda, gli attori, cambiati d'abito - passati dalle vesti nere a lutto a quelle colorate del loro tempo - raccontano di chi li ha edotti sulla guerra. E loro restano in bilico tra la volontà di sapere e quella di non farsi fagocitare. Perché vogliono vivere, non morire. «Sono Pietro, ho 23 anni, e non ho mai imbracciato un'arma in vita mia».
foto di Roberto de Biasio