Mario Lodi
è ancora il Maestro, con le maiuscole. A Drizzona, quattro case e un
fazzoletto di campo da Piadena, in piena bruma bassopadana, sanno tutti
dove abita. Perché così si usava quando varcò per la prima volta col
diploma in tasca la soglia di un'aula, ai tempi in cui il maestro
insieme con il parroco, il medico e il sindaco era l'autorità del paese.
Eppure Mario Lodi
non ha nostalgia della scuola autoritaria di quei tempi. Anzi, è sceso
dalla cattedra il primo giorno accontentandosi di una sedia (per
mettersi all'altezza dei bambini) e da allora si batte per una riforma
da dentro, senza troppi riguardi per le teorie dei ministri d'ogni
colore che si susseguono e fanno e disfanno senza sosta.
Sperimentò la
sua idea di scuola quando ci entrò nel secondo dopoguerra e la
risperimenta oggi, a 86 anni, facendo da "chioccia" a un gruppo di
maestri giovani sparsi per l'Italia. A guidarli l'esperienza e le
leggi che ci sono già, prima di tutto la Costituzione: «Non per
leggerla, ma per viverla, in aula, a sei anni, perché la scuola non può
accontentarsi di leggere e scrivere, deve crescere cittadini
responsabili».
Da settant'anni osserva bambini nel tempo e vede più
continuità che differenze: «Il mondo è diverso da allora, ma non sono
convinto, da quel che vedo frequentandoli, che i bambini di sei anni
abbiano esigenze troppo diverse da quelle di sempre. Semmai abbiamo un
problema in più da fronteggiare, fatto di Tv e computer che scollano
sempre più i bambini dalla vita reale per proiettarli in un eterno
virtuale, insinuando in loro la convinzione che l'avere conti più
dell'essere e del sapere». Rende l'idea con un aneddoto: «Sono stato
in una classe poco tempo fa, ho chiesto ai bambini cosa sognassero di
fare, uno mi ha risposto 'il miliardario', ovviamente in euro, 'così mi
compro due belle ragazze e due macchine'. Gli altri ne hanno fatto
subito un leader. Nel 'mi compro' c'è un'idea di mondo. Se vogliamo una
speranza come scuola dobbiamo inventarci un sistema per fermare questo
mercato. Non so se l'idea che ho saprà farlo. Sperimentiamo, poi magari
alla fine scopriremo che non vale, ma almeno proviamo».
L'aula come uno Stato. Quel che Mario Lodi
sta provando è un'evoluzione adattata all'oggi del suo metodo di
insegnamento. La documentazione del progetto è un diario di fogli
scritti al computer, registra quel che i maestri con cui è in contatto
fanno in classe giorno per giorno, seguendo la sua idea di scuola
democratica .Che vuol dire esattamente? «I bambini arrivano in
classe con un sapere: esplorando il mondo hanno imparato a osservare, a
parlare e sviluppato spontaneamente un'enorme mole di conoscenze. Da lì
bisogna partire, cominciando a non ignorare le cose che sanno e
replicando il metodo con cui le hanno apprese. Un bambino che nasce ha
nel pianto il primo strumento per esercitare la libertà di espressione,
sa usarlo anche se non sa che esiste l'articolo 21».
Il problema è che, per usare le parole di Lodi, a scuola l'io deve diventare noi: «All'inizio,
parlando in classe, i bambini fanno confusione, si scavalcano, parlano
tutti insieme. Far sperimentare un momento di caos è un modo per far
intendere loro l'esigenza di rispettare i tempi e le parole altrui. I
primi minuti di discussione ordinata sono il primo successo. Poi viene
la cooperazione: immagino una scuola dove si discutono le esigenze e di
conseguenza le regole. Tra le prime cose che chiedevo ai miei bambini e
che i maestri oggi chiedono ai loro è di darsi da fare assieme per
rendere la loro aula più accogliente: la si fa bella con i contributi di
tutti, perché così diventa casa e la si rispetta. E' il nostro antidoto
contro il vandalismo».
Il principio funziona anche con le regole: «Quando
l'io diventa noi, i cittadini dell'aula hanno bisogno di darsi delle
norme condivise, perché senza regnano caos e prevaricazione: discutere
insieme le regole, darsele democraticamente, significa accettarle. Lo
stesso vale per la valutazione: ci si autovaluta, con un linguaggio che i
bambini sappiano capire, nel rispetto dei tempi di tutti. Non credo ai
voti alle elementari: un bambino di quell'età non può essere
sintetizzato a numeri. So per esperienza che far leva sui progressi,
sulla soddisfazione, nell'apprendimento paga più della sottolineatura
degli errori».
I bambini prima di tutto: «Quando
si ragiona di cambiare la scuola», continua Lodi, «lo si fa sempre
partendo da un'idea astratta e quando si insegna si tende a farlo
dall'alto. Invece io credo che si impari meglio se un maestro parte dal
basso, dal punto di vista del bambino, creando continuità con il suo
apprendere prima della scuola. Perché funzioni serve una costante
comunicazione con le famiglie, ma è meno difficile di come sembra: se
quel che si fa a scuola si traduce ogni 15 giorni in un giornalino le
informazioni passano».
Nella scuola di Mario Lodi il bambino sta al centro: «E invece spesso le esigenze degli alunni sono l'ultimo pensiero». E' un'idea di scuola, ma di più una realtà, perchè Mario Lodi l'ha messa in pratica per una vita. Dentro c'è un concetto di classe come "fare insieme" che don Lorenzo Milani applicò a Barbiana. E infatti le classi di Lodi e Milani si scambiarono lettere per un po': «Avevo
scoperto un po' per caso che, a distanza, stavamo sperimentando cose
simili e sono andato a Barbiana a conoscerlo. Lì è nata la
corrispondenza».
Quando gli chiediamo che ne pensa del maestro unico di cui tanto si discute Lodi risponde che: «Non
è fondamentale che siano uno o tanti, dipende tutto da come sono. Anche
il tempo pieno l'abbiamo inventato noi, a Barbiana e a Vho di Piadena,
ma non è un valore in sé, conta quel che ci metti dentro: se è un
parcheggio non serve a niente». Vengono in mente le parole di don Milani: «Gli
amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio ad averla
piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi per
loro i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la
domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per far scuola, ma solo di come bisogna essere per fare scuola».
Nessuno, né don Milani che non c'è più da tanto tempo, né Mario Lodi che a 86 anni ancora insegna delle cose, si è mai illuso che fosse facile tradurre in realtà gli ideali. Ma non sembra una buona ragione per non provare.
Famiglia Cristiana, n° 47, 23 novembre 2008