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martedì 08 ottobre 2024
 
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Maternità surrogata: tra ideologia e realtà

30/03/2023  Fa discutere in questi giorni la questione della trascrizione di figli di coppie omosessuali nati con la pratica dell’«utero in affitto». Definita dai vescovi inaccettabile perché mercifica la donna e il nascituro

Cari amici lettori, come avrete avuto modo di sentire in questi giorni da tv e giornali, c’è un aspro dibattito sul riconoscimento dei figli di coppie omosessuali nati dalla cosiddetta “maternità surrogata”. La discussione è nata in seguito all’intervento del prefetto di Milano (dunque del Governo italiano) che ha bloccato la trascrizione di figli di coppie omogenitoriali all’anagrafe, in base a una sentenza della Corte di Cassazione che prevede invece di registrare come genitore di una coppia omosessuale solo il padre biologico e non il partner (salvo che questo non decida di intraprendere il complicato iter dell’adozione, la stepchild adoption). Il dibattito ha assunto forti toni ideologici, vedendo contrapposti un fronte “liberale” e un fronte conservatore. La questione è complessa dal punto di vista giuridico e politico: si tratta di figli già esistenti, per i quali la legge “riconosce” un solo genitore, e per i quali occorre trovare il modo di colmare un vuoto legislativo. Evidentemente sono in gioco i diritti dei bambini e la stabilità dei loro affetti. Il dibattito però si è appuntato molto sulla questione “a valle”, mentre il problema è a monte, è di carattere più generale e vale anche per le coppie eterosessuali, che fanno ricorso a tale pratica con numeri ben superiori a quelli delle coppie omosessuali: la pratica della “maternità surrogata” o, come viene chiamata, dell’«utero in affitto», ovvero del ricorso da parte di una coppia (eterosessuale o omosessuale) a un “terzo”, in pratica al corpo di una donna che viene pagata per portare a termine una gravidanza di un nascituro generato in laboratorio con i gameti forniti da una coppia esterna alla coppia committente oppure con il seme o l’ovulo di uno dei due partner della coppia committente. Come si intuisce, non sono pochi i nodi di ordine etico e morale in questione. Il primo è che il corpo della donna gestante è ridotto a “incubatrice” e che, così facendo, si interrompe il legame biologico tra la donna e il bambino da lei portato in grembo e i bambini rischiano di essere ridotti a merce acquistabile come se si fosse su Amazon. Inoltre, è noto che dietro alla pratica dell’utero in affitto c’è un business milionario di cliniche e agenzie di mediazione. Se è comprensibile il dolore di una coppia che non può generare figli, questo però non può oscurare lo sguardo su questioni che riguardano così profondamente la nostra umanità, il senso del generare e dell’essere generati, e in definitiva la dignità dell’essere umano: della donna di cui si “usa” il corpo dietro compenso, e dei bambini, di cui si dimenticano troppo facilmente i diritti, tra cui quello di poter ricostruire le proprie origini genetiche e biologiche. Nella sessione primaverile del Consiglio permanente della Cei (20- 22 marzo), i vescovi italiani hanno preso posizione sul tema, definendo la maternità surrogata una pratica inaccettabile «che mercifica la donna e il nascituro». Ma le critiche a questa pratica non vengono soltanto dal mondo cattolico, anche nel mondo laico sta montando il rifiuto: è il caso, per esempio, dei cento tra giuristi, medici, psicologi e sociologi di 75 nazionalità radunati in Marocco che hanno firmato la Dichiarazione di Casablanca, con cui chiedono il bando globale della maternità surrogata e l’avvio di un processo che porti all’adozione di una Convenzione internazionale in materia, vincolante per gli Stati che la ratificano. Una convergenza che fa riflettere e che dovrebbe aprire gli occhi sulla realtà, spingendo a superare approcci meramente ideologici.

 
 
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