Sette ragazzi egiziani violentano una bambina di 13 anni nel parco pubblico di Catania, sotto gli occhi terrorizzati del suo fidanzatino. Orrore e rabbia, ma a ideologia alterna, opponendo la caccia all’immigrato al silenzio sui fallimenti dell’integrazione, a ciascuno le sue bandiere. Però la violenza tra i minori dilaga, e non penso dipenda solo dall’attenzione mediatica. È esperienza quotidiana, nelle nostre città e paesi. Tracotanza, droga all’aperto senza ritegno, branchi aggressivi. Anche a scuola, mettendo a rischio compagni e docenti.
Non è colpa loro, mancano di autorevolezza. Hanno paura, e a ragione: non sono poliziotti, non devono esserlo. E rispondere alla strafottenza, alla volgarità o alle minacce è pericoloso. Non sono neppure assistenti sociali o psicologi, per far fronte a storie dure di chi viene da realtà di miseria, e magari non poter comunicare capendosi. Chi respira violenza e vive nel degrado, chi cova livore ed è solo, chi non vede futuro rischia di scegliere la strada dell’istinto, del guadagno facile, della vendetta. E bisogna poi riflettere su cosa significhi la definizione di “minore”. Sei anni, quindici, sedici anni? Fa una certa differenza.
Nel prima e nel dopo, per prevenire e per curare, e punire, quando è necessario. Sgombrando il campo da facili buonismi, che di solito albergano in chi frequenta quartieri bene e la cronaca spicciola la legge sui giornali: bisogna impedire il male, bisogna punire e controllare chi può nuocere al prossimo e alla comunità. Come, è il tema. Perché i minori non accompagnati che hanno devastato la vita di una ragazzina sono stati sbattuti in Italia su un barcone da qualche familiare da arresto, ma arrivavano dall’Egitto, un paese non in guerra e non in crisi umanitaria. E sono stati affidati a una ong, a un’associazione che non li ha custoditi, educati, seguiti. Perché? Quanto paghiamo chi non offre garanzie adeguate? Quanti soldi sprechiamo? E poi, sì, il tema educativo va declinato nella formazione, che deve accompagnare da subito l’accoglienza.
Ci sono Paesi che non hanno purtroppo una storia di diritti acquisiti della persona, in particolare delle donne. Che non possono essere considerate prede a disposizione. Si tratta di sottoculture, bisogna dirlo, che non possono essere assecondate o sottovalutate nelle conseguenze che possono scatenare. Occorre che chiunque venga a vivere nel nostro Paese sia aiutato e sostenuto, insieme a cibo e cure sanitarie, con l’educazione. Lingua, costituzione, storia. Troppe periferie sono dominate da bande di ragazzini in balia di mafie locali o straniere. Bisogna toglierli dalle strade e a volte dalle loro famiglie, prima che alimentino idee per nuove serie tv.
Ci vuole un esercito di forze dell’ordine, accompagnato da un esercito di maestri ed educatori, a scuola, sui campi sportivi, negli oratori delle parrocchie. Ma teniamo bene a mente, come monito: un ragazzo accoltella il compagno a una gamba e lo ferisce gravemente. Siamo nei dintorni di Milano. Un diciassettenne ferisce la professoressa che, a suo dire, lo voleva bocciare, con tre coltellate alla schiena, siamo a Varese. E gli aggressori sono italiani, in entrambi i casi.