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martedì 17 settembre 2024
 
 

«Noi bianchi abbiamo sempre avuto rispetto»

24/04/2015  Renzo Novara oggi ha 88 anni. A 17 anni, nel Parmense, entrò nella Brigata Julia, il più cattolico dei gruppi ribelli.

Ricorda ancora benissimo il motivo per cui è salito in montagna, anche se ha appena compiuto 88 anni. Erano i primi d’aprile del 1944 e allora Renzo Novara, classe 1927, di anni ne aveva solo 17.

«Ero sempre stato insofferente nei confronti dell’educazione fascista», spiega. Viveva a Ostia Parmense, nella Val di Taro. Famiglia cattolica, un’educazione religiosa intensa. Non ne poteva più delle adunate dei balilla, soprattutto dei “Sabati fascisti”, una specie di servizio preliminare, prestato in caserma. «Ne ho saltati due, al terzo mi hanno messo due ore in prigione e non l’ho presa bene».


FORTISSIMA MOTIVAZIONE IDEALE. Ma la spinta decisiva che lo ha portato a rompere ogni indugio è arrivata quando, dopo l’8 settembre 1943, un contingente di SS ha disarmato i carabinieri in servizio al paese. «Poi sentivo fortemente i valori della libertà e della democrazia, la motivazione ideale era molto forte».

L’esperienza come partigiano è stata breve ma molto intensa. Tanta fatica, diversi combattimenti importanti, molti pidocchi tra i capelli. «Appena potevo tornavo a casa per togliermi i pidocchi e rivedere i miei, correndo i rischi del caso».

Come quella volta in cui si è imbattuto in un ufficiale tedesco, sul ponte del fiume Taro. «Avevo la mano sulla mitraglietta e il colpo in canna, lui sapeva che avrebbe perso, per cui ci siamo guardati in faccia e abbiamo continuato per la nostra strada».

La sua formazione si è poi trasformata nella seconda Brigata Julia, «la più “bianca” delle brigate partigiane». Ha combattuto fianco a fianco con uomini come Sergio Gigliotti, “il partigiano con il Vangelo”. «Abbiamo sempre tenuto fede ai nostri valori e ne sono orgoglioso», continua Novara. «Non abbiamo mai torturato nessuno e, quando era possibile, abbiamo curato anche i tedeschi».

Dopo la guerra, a 18 anni, Renzo ha partecipato al primo concorso per entrare in polizia. «Ci hanno mandato al Sud per le elezioni del 2 giugno, ero di guardia alle urne ma non ho potuto votare, perché allora bisognava avere 21 anni». Poi è entrato alla Mobile di Padova, ma dopo qualche anno ha dovuto congedarsi per una grave pleurite. Da allora ha lavorato nel consorzio del Parmigiano Reggiano, diventando responsabile dei magazzini del Parmense. Si è sposato giovane, e il matrimonio è stato celebrato da Padre Pio. Rimasto vedovo, si è sposato una seconda volta con Cosetta, che è ancora al suo fianco. Oggi è presidente provinciale dell’Anpc, l’Associazione nazionale partigiani cristiani.

«La testimonianza di uomini come lui è preziosa», spiega il vicepresidente dell’associazione, Nando Sandroni, che è tra i fondatori del piccolo Museo della Resistenza di Valmozzola. «Spesso si dimentica che nella provincia di Parma la maggioranza dei partigiani erano bianchi, per fede e per cultura. Oggi ne rimangono in vita solo venti. A tutti loro, in occasione del settantesimo, abbiamo conferito la medaglia d’argento, ma oggi dobbiamo porci soprattutto il problema della trasmissione della testimonianza. Per questo stiamo cercando di riunire i figli e i nipoti dei combattenti, per trasmettere la memoria».

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