«Nulla avviene per caso, ma tutto secondo ragione e necessità». L’antico detto di Leucippo di Mileto, che rimbalza su Leibniz, ci accompagna e ci perseguita ogni volta che ci troviamo di fronte a un evento tragico, che desta il nostro stupore e le nostre angosce, come quello vissuto (in diretta) da ciascuno di noi di fronte allo spaventoso incendio che ha devastato la cattedrale di Parigi. Noi stentiamo a “farcene una ragione”, come si direbbe nel linguaggio comune, e le diverse opinioni, interpretazioni, illazioni e dietrologie che popolano i media ce lo sottolineano. Ma una ragione, sia pur recondita, ci dovrà pur essere, sebbene essa non corrisponda all’idea di un cieco fato e di una deterministica necessità. All’emozione deve subentrare la riflessione, che per il credente e il teologo si nutre della parola di Dio. Quanti di noi hanno avuto la possibilità di ammirare la splendida cattedrale parigina, si saranno potuti esprimere come il discepolo con Gesù: “Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!”. La risposta del maestro di Galilea è profetica: “Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra che non sia distrutta” (Mc 13,1-2).
La prima ragione, per cui episodi come questo accadono e si susseguono nella storia, sta nella costitutiva fragilità di ogni costruzione umana, anche qualora si tratti di realizzazioni “religiose”. In questo senso siamo chiamati a decifrare i “segni dei tempi”, ossia l’accaduto, alla luce della caducità dell’esistenza umana e della storia. Nel nostro caso, tuttavia, qualcosa è rimasto e non tutto è andato perduto. Non si tratta certo di una sorta di miracolismo, ma appunto di “segni”, che sono affidati alla nostra riflessione, alla nostra fede e al nostro impegno futuro. In ciò che è mera costruzione umana siamo chiamati a distinguere ciò che viene prodotto semplicemente dal tecnicismo di chi ricostruisce o restaura e ciò che è nato dalla fede e dalla cultura di una comunità. Il secondo caso è quello della costruzione delle cattedrali gotiche, le cui maestranze non svolgevano solo un lavoro professionalmente valido, ma ispirato da una profonda religiosità e spiritualità. Viene in mente la famosa parabola di Gesù della casa costruita sulla sabbia e di quella costruita sulla roccia (cf Mt 7,24-27).
Ma oltre la struttura della cattedrale gotica (costruita con la pietra) sono rimasti dei segni particolarmente significativi, che il disastro ha risparmiato e sui quali dovremmo ricostruire: il fatto che le statue degli apostoli si siano salvate, viene a dirci che in fondo la comunità credente trova il suo fondamento nella fede apostolica; la croce e l’altare ci suggeriscono che il centro della fede sta nella Passione e Risurrezione del Signore, che celebriamo nell’eucaristia; l’organo, che pure si è salvato, dice che l’arte (nel nostro caso la musica) resiste alle intemperie dei tempi e ai disastri delle epoche. Del resto il grande poeta Paul Claudel si è convertito partecipando e ascoltando il Magnificat nelle celebrazioni del vespro di Natale del 1886 in Notre Dame (diremmo musica porta fidei).
Infine di fronte a chi oppone le risorse messe a disposizione per la basilica e l’attenzione ai migranti e ai poveri e derelitti che interpellano il nostro presente, bisogna ricordare l’episodio evangelico, che Marco situa due giorni prima della Pasqua, quando lo raggiunge in casa di Simone una donna con un vaso di alabastro, pieno di olio profumato di gran valore, versandolo sul suo capo. L’indignazione di quanti si scandalizzano trova una risposta chiara e programmatica: “I poveri li avete sempre con voi!” (Mc 14,1-11). Mentre impieghiamo risorse per risollevare un simbolo infranto, non possiamo dimenticare l’attenzione verso gli ultimi, in modo che il lavoro di ricostruzione della chiesa di pietra coincida col lavoro di ricostruzione e di rinascita dell’umano autentico nella nostra società.