Profughi curdi della Siria in fuga dalle zone occupate dall'Isis (Reuters).
E così, Barack Obama ha dato il via alle incursioni anche sul territorio della Siria e la città di Raqqa, considerata la "capitale" dell'Isis (lo Stato islamico dell'Iraq e della Siria), è stata martellata dalle bombe dei caccia e dai missili sparati dalle navi americane. Una trentina di attacchi che, a quanto è dato sapere, hanno lasciato il segno sui terroristi, costretti ad abbandonare molte posizioni.
Dal punto di vista militare, quindi, nessuna particolare novità: colpi mirati sulle poche "infrastrutture" dei guerriglieri islamici, che pian piano perdono tutti i rifugi prima sicuri. Importante, invece, la svolta politica: a quel che si capisce, infatti, il triangolo Usa-Russia-Damasco ha raggiunto una qualche forma di intesa, pur non dichiarata, sulla forma che devono assumere gli attacchi contro l'Isis in Siria.
Obama non vuole e non può accettare la condizione-capestro che la Russia (e la Cina) avevano posto all'inizio: coordinare i bombardamenti con il regime di Assad. Chiaro il timore di Mosca: che gli Usa, mentre bastonavano l'Isis, cogliessero l'occasione per fare altrettanto con l'esercito di Assad. Ma è chiara, capestri a parte, anche la preoccupazione della Casa Bianca: in questo momento, far cadere Assad vorrebbe dire fare un grosso favore proprio all'Isis, visto che l'opposizione "democratica" ad Assad sul campo di battaglia conta poco o nulla.
Così è entrata in funzione una complessa procedura diplomatica che non è un "coordinamento", ma un avvertimento sì. Gli Usa hanno avvertito dei raid la rappresentanza della Siria all'Onu. Il ministero degli Esteri della Siria ha poi aggiunto che il segretario di Stato Usa John Kerry avrebbe inviato una lettera per avvisare l'omologo siriano, cosa che gli americani non hanno confermato.
Acrobazie politiche a parte, è chiara la svolta nella politica momentanea. I Paesi sciiti, demonizzati per anni e anni per proteggere l'alleanza politico-petrolifera degli Usa con i Paesi sunniti e le monarchie del golfo, ora possono tornare utili. L'Iran, tipico "Stato canaglia" fino a poco tempo fa e spesso minacciati di bombardamenti per le sue ambizioni nucleari, ora è decisivo nell'appoggiare i curdi iracheni che combattono l'Isis. Assad resta una canaglia ma, anche lui, è un baluardo contro la guerriglia islamica sunnita che tormenta Siria e Iraq. Il Libano degli Hezbollah, alleati di Assad, è uscito dagli schermi americani. In Iraq, liquidato in modo pacifico il disastroso premier Nur al Maliki, si è insediato un governo che resta a forte componente sciita. E persino nello Yemen (ne diciamo in un articolo a parte), la guerriglia sunnita, spesso colpita da Obama con i droni, ora patteggia tranquillamente cn il Governo sunnita appoggiato, anzi creato dagli Usa.
Insomma: nel fumo dei bombardamenti contro l'Isis si sono dissolte anche le parole d'ordine che per anni e anni ci sono state ripetute fino alla nausea. Prima fra tutte quella cara a tanti giornali italiani: sunniti "moderati" e sciiti "estremisti cattivi". Giusto così, d'altra parte: con i risultati che avevano dato...