Almeno duemila fiaccole, tutte rigorosamente gialle, hanno riempito la piazza di Fiumicello, paese nativo di Giulio Regeni. Duemila fiaccole e molte più persone che le hanno alzate al cielo. Nemmeno il freddo tagliente di questa sera del 25 gennaio le ha scoraggiate. Giovani, bambini, anziani, operatori della comunicazione, amici, autorità: tutti stretti attorno a Paola, Claudio e Irene Regeni. Perché a un anno dalla sparizione di Giulio la verità è ancora lontana, ma la determinazione nel chiederla è più forte che mai.
Un particolare della fiaccolata di Fiumicello. In copertina: la fiaccolata nel paese natale di Giulio.
È il sindaco di Fiumicello, Ennio Scridel, a parlare per primo nella piazza gremita: «Il nostro silenzio di 365 giorni fa era per incredulità. Il silenzio di questa sera vuol essere un invito ad alzare lo sguardo e a guardare al futuro. In questi 365 giorni la comunità ha tenuta accesa la fiaccola della ricerca della verità. E ora tocca all’Egitto dirci “con franca lingua” il vero».
Poi l’accensione delle fiaccole (sono le 19.41) e il silenzio. Un silenzio lungo, intenso, commosso, palpabile, luminoso. Rotto, soltanto alla fine, dalle note di Vecchioni: «Sogna, ragazzo sogna quando sale il vento nelle vie del cuore quando un uomo vive per le sue parole o non vive più...». La folla si dirige nella Sala Bison, per mettersi in ascolto di voci e testimonianze. Sono i ragazzi del Governo dei Giovani del paese ad offrire per primi un contributo, proponendo il racconto di Gianni Rodari “Giacomo di Cristallo”: «…perché la verità è più forte di qualsiasi cosa, più luminosa del giorno, più terribile di un uragano», affermano. Furio Honsell, sindaco di Udine, da parte sua ringrazia la famiglia Regeni: «Dire grazie è un po’ come chiedere scusa… perché non abbiamo saputo difendere Giulio quando operava per il bene di tutti. La verità che chiediamo forse la sappiamo già. Ma è importante che tutti la riconoscano: i governi responsabili e i governi complici».
Intenso l’intervento di Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, che non fa sconti nel denunciare che, a 28 anni e mezzo di distanza dalla ratifica della Convenzione Onu sulla tortura, il reato di tortura non è ancora presente nell’ordinamento giuridico italiano perché «una classe politica codarda non ha avuto la forza di inserirlo e dunque di sanzionarlo penalmente». Secondo Manconi, infatti, questa mancanza ha «contribuito a formare una sorta di condizione di sudditanza psicologica rendendo il governo troppo inerte nei confronti del regime di Al Sisi».
Anche a Trieste, come in diverse altre città italiane, si sono svolte manifestazioni per l'anniversario della scomparsa di Giulio Regeni.
Beppe Giulietti, presidente della Fnsi, che ha portato il saluto della mamma di Ilaria Alpi, ha affermato con forza che «i riflettori non si possono spegnere. Questo è un caso tipico in cui l’oscurità significa l’archiviazione nel cuore e nelle coscienze e giustifica anche i silenzi della politica. Bisogna che i riflettori non si spengano fino a quando non sarà garantita verità e giustizia per Giulio Regeni. Poi i riflettori dovranno rimanere accesi sui diritti negati ai tanti Giulio nel mondo». Ed ha concluso: «Non c’è transazione commerciale che possa portare al silenzio sulla vita di una persona».
Parole di grande umanità nel ricordo di don Luigi Fontanot, parroco di Fiumicello: «Come uomo di fede, per i diversi colloqui che ho avuto con Giulio, devo dire grazie a Dio. Quell’unico Signore, Jahvè, Allah o come lo vogliamo nominare, ci ha donato e tolto Giulio, ma ce lo restituisce come testimone coerente della coscienza. E ci invita ad essere sempre coerenti». La testimonianza di due giovani egiziani del Collegio del Mondo Unito di Duino ha preceduto l’atteso intervento di Paola e Claudio Regeni, accompagnati dalla legale Alessandra Ballerini: «Siamo qui per dirvi grazie e vogliamo farlo raccontandovi una cosa di famiglia». Così inizia il racconto di una foto, scattata di recente a Berlino, al murales che ritrae il volto di Giulio accanto al gatto, simbolo dell’Egitto. Un’immagine che riporta a una foto di famiglia fatta a Berlino diversi anni or sono, «la più bella che abbiamo». E che restituisce a Paola e Claudio Regeni il senso della vita di loro figlio, costruttore di ponti, «ucciso come un egiziano». Non c’è più spazio per le parole.
Si può concludere solo in musica con la voce di Margherita Baggi e “Halelujah” di Cohen. Un lungo applauso e poi il silenzio. Commosso. Che può parlare. E chiedere ancora verità e giustizia per Giulio.