(Foto Reuters: un cimitero in una delle grandi periferie di Città del Messico)
Nel tunnel della pandemia, il travagliato Nordest del Brasile, particolarmente colpito dal virus, sembra intravedere uno spiraglio di luce: tra il 23 e il 24 giugno, nell’arco di 24 ore, per la prima volta la città di Manaus, capitale dello Stato di Amazonas, non ha registrato nessun decesso provocato dall’infezione. Lo scorso aprile avevano sconvolto il mondo le immagini delle fosse comuni scavate nella città per dare sepoltura alle innumerevoli salme delle vittime, arrivate a una media di 140 al giorno, contro la media di 30 prima della pandemia. Secondo i dati ufficiali, lo Stato di Amazonas ha avuto un drastico calo della mortalità tra i pazienti affetti da coronavirus. Attualmente nello Stato i malati ricoverati sono 310. Dall’inizio della pandemia i casi confermati sono stati quasi 67mila, con più di 2.700 morti.
Ma in tutto il Brasile la situazione è ben lontana da un’inversione di tendenza: tra il 26 e il 27 giugno i nuovi casi registrati sono stati quasi 47mila, le vittime quasi mille. In tutta l’America latina - nonostante le drastiche misure di sicurezza e prevenzione adottate con molta tempestività dalla maggior parte dei Paesi - la pandemia continua a correre in modo allarmante e incontrollato, il numero dei casi è arrivato a quasi 2,5 milioni e il tetto della curva appare ancora lontano.
Il Brasile resta il primo Paese latinoamericano per numero di casi e il secondo al mondo dopo gli Stati Uniti. La situazione è particolarmente grave in Perù - al secondo posto nel continente - nonostante l’imposizione del lockdown a metà marzo: dalle città come la capitale Lima, dove il virus si propaga rapidamente, i lavoratori rimasti senza occupazione si mettono in marcia verso le campagne e i villaggi di origine per sfuggire al contagio e alla fame. In Cile - Paese già attraversato da una profonda crisi economica e teatro di forti proteste sociali - la sanità è al collasso, i reparti di terapia intensiva sono al limite delle capacità e il presidente Sebastián Piñera giorni ha esteso lo “stato di eccezione costituzionale di catastrofe” - dichiarato a metà marzo per 90 giorni - per altri tre mesi, con il conseguente mantenimento del coprifuoco dalle 22 alle 5 del mattino.
Il Messico, con quasi più di 216mila contagi, è ora il settimo Paese al mondo per casi confermati. Ma nonostante il trend in salita, già all’inizio di giugno il Governo del presidente Andrés Manuel López Obrador ha cominciato adl allentare le misure restrittive in tutto il Paese, permettendo alle fabbriche di riaprire, ai piccoli negozi e ai mercati di strada di tornare attivi, per far ripartire un’economia quasi completamente ferma dal 23 marzo. Cancún, la perla caraibica del Messico merdionale, nella penisola dello Yucatán, una delle mete del turismo internazionale più famose e gettonate di tutta l’America latina, dopo mesi di lockdown totale, ha cominciato a riaprire parzialmente i suoi hotel e le strutture ricettive per accogliere di nuovo i turisti. Lo Stato di Quintana Roo - che oltre per Cancún è famoso anche per altre località come Playa del Carmen - vive quasi esclusivamente sulla risorsa del turismo: la chiusura per la pandemia ha completamente affossato l’economia e l’occupazione dello Stato con perdite immani, tra le più pesanti di tutto il Messico.
In Argentina, la situazione continua a essere critica a Buenos Aires e nella sua provincia, tanto da portare il presidente Alberto Fernández alla decisione forte di imporre di nuovo un rigido isolamento in tutta l’area, creando una zona rossa fino al 17 luglio. Emergenza sanitaria anche in Colombia: il Paese è arrivato a quasi 89mila contagi confermati superando la Cina.