Staresti ad ascoltarli per ore nella loro casa romana dove ogni oggetto ha una storia da raccontare. Come la foto che ritrae Ugo Pagliai nei panni di Lawrence d’Arabia nello sceneggiato L’aviere Ross: «Bella vero? Eppure, il turbante era un asciugamano, tenuto insieme da un filo del telefono...». La moglie Paola Gassman ci porta invece in camera da letto, dove è custodita una magnifica collezione di ex voto: «I primi li regalò Luchino Visconti a mia madre (l’attrice Nora Ricci, ndr). Da bambina li vedevo e mi davano molta serenità. Così ho continuato, acquistandoli nei luoghi in cui sono stata in tournée». Non si pensi però che la più celebre coppia del teatro italiano viva di ricordi. Pagliai il 18 ottobre porterà in scena al Teatro Farnese di Parma la Lettera al padre di Kafka all’interno del Festival Verdi. Poi, nel nuovo anno ha già in programma Il vecchio e il mare a Brescia e, con la moglie, una commedia in cui reciteranno con Gabriel Garko. L’attrice confida di non aver mai scritto una lettera al padre Vittorio: «Ma ho dedicato ai miei genitori un libro che è una lunga lettera, Una grande
famiglia dietro le spalle». «Però tuo padre te ne scriveva», interviene lui. «Più che lettere, erano “pizzini”. Aveva la mania di annotare tutto su fogli grandi che poi, non so come, riusciva a rimpicciolire e, a volte, mi consegnava. Contenevano riflessioni sulla vita o, più prosaicamente, raccomandazioni come: “Ricordami che devo andare dal dentista”». Chissà quante volte si è sentita ripetere di essere la figlia del grande Vittorio: «Quando ero giovane, mi seccava parecchio, ma ora che sono quasi bisnonna... Mi adombro un po’ solo quando dicono: “Ah, lei è la sorella di Vittorio”. Capirei se lo dicessero riferendosi a mio fratello Alessandro, ma a mio padre! Il fatto è che papà nell’immaginario di tutti è rimasto sempre giovane, mentre io sono invecchiata». Pagliai ha partecipato con una piccola parte alla fiction Rimbocchiamoci le maniche con Sabrina Ferilli. Ma è stata un’eccezione: «Per ridurre al massimo i costi, le fiction sono quasi tutte girate in fretta e per un attore come me diventa faticoso. Meglio il teatro». La grande epopea degli sceneggiati di cui fu uno dei mattatori, con titoli come Il segno del comando o L’amaro caso della baronessa di Carini, gli appare lontanissima: «Dall’operatore, al regista, allo sceneggiatore, lavoravi sempre con il meglio in quel momento a disposizione: si creava un circuito creativo che arricchiva tutti. Naturalmente i ritmi erano molto più lenti di quelli di adesso e all’inizio non c’era nemmeno il montaggio. Se qualcosa non andava, dovevi rifare tutto da capo. Ricordo Addio giovinezza. Eravamo arrivati fino al terzo atto, quando un microfono entrò nell’inquadratura e il regista urlò: “Stop! Dobbiamo rifarla!”». Gassman invece non ha mai fatto molta Tv o cinema, per una precisa scelta di vita: «Avendo avuto dei figli, ho ritenuto che il tempo dedicato al teatro fosse più che sufficiente». Una vita consacrata al teatro dunque, che ha regalato alla coppia grandi soddisfazioni, come quando misero in scena negli anni ’80 e poi nel 2000 Giobbe e le altre stanze, testo teatrale scritto in gioventù dal futuro papa Karol Wojtyla. Pagliai: «Lo incontrai una volta in Vaticano. Ero stato invitato a leggere in mondovisione brani di alcune sue omelie in cui affrontava la necessità di ridurre i debiti dei Paesi più poveri. Alla fine mi ricevette in udienza. Ero ovviamente emozionatissimo, quando è arrivato il mio turno ho fatto il gesto di inchinarmi. Ma lui, con notevole vigore fisico, me l’ha impedito. Non so come mi sono uscite queste parole: “Padre, lo sa che ho recitato il suo Giobbe?”. Lui mi ha sorriso e mi ha detto solo: “Grazie”». In tanti anni di carriera insieme, aggiunge l’attrice, «è capitato che tra noi ci fossero dei malumori, diversi modi di vedere le cose. Di solito era lui che “maltrattava” me e io lo lasciavo fare, specie quando era il direttore della compagnia che fondammo insieme.Io cerco di scindere molto il lavoro dal privato, anche perché altrimenti sarebbe stato impossibile vivere tra padri, madri, zii, mariti, fratelli che fanno tutti lo stesso lavoro. Anche la vita vera è interessante. Lui invece tende a portarsi a casa per un po’ i suoi personaggi e io per questo lo prendo in giro». Il loro amore dura da quasi cinquant’anni. «Mi avevano scritturato al Teatro Stabile dell’Aquila. Lui era primo attore e Mariangela Melato prima attrice», ricorda lei. E poi lo rimbrotta: «Ti sei dimenticato dell’anniversario... ». «Mamma mia, quasi cinquant’anni!», esclama lui. «Mi meraviglia che sia passato così tanto tempo. Quando usciamo fuori a
cena abbiamo sempre così tante cose da dirci, tante cose da scoprire di noi stessi. Sembriamo una coppietta al
primo appuntamento». «Ma se sei da poco diventato nonno...». «Sì, è vero ed è bellissimo. Però te lo vedi Lawrence
d’Arabia nonno?».