Fu “odio” a prima lettura. Me lo regalarono in terza elementare e mi pregustai il piacere di perdermi in una bella fiaba. C’era un piccolo principe, ci sarà anche una piccola principessa, un re, una regina, un castello, e magari anche maghi, fate, incantesimi, draghi, cortigiani e ovviamente buoni e cattivi. Insomma tutto quello che fa parte del corredo di ciò che amavo leggere a quell’età. Invece mi sono bastate poche pagine per scoprire che avevo davanti un piccolo filosofo petulante. Che poneva domande incomprensibili a un aviatore e riceveva risposte altrettanto criptiche. Non andai oltre (caso per me più unico che raro) e non capii e ancora non capisco l’entusiasmo dei suoi sostenitori. Ancora ignara, tra l’altro, della mole che avrei dovuto sorbire di citazioni, versioni e riproduzioni delle immagini di questo presunto capolavoro. Un testo, a mio parere, noioso e sopravvalutato. Senza trama, senza intrighi e senza fascino. Con la presunzione di poter spiegare la vita, il mondo, l’amore, l’amicizia. Ma io non ho mai trovato risposte in Saint Exupery, e non perché non mi ponessi, anche io da bambina, delle domande. Ma perché, alle mie domande, hanno risposto ben altre magnifiche narrazioni (di qualsiasi genere) incontrate nel vasto repertorio della letteratura per l’infanzia. Se ho amato a dismisura le vicende di Gian Burrasca, le “toscanacce” Novelle della nonna o le fiabe sanguigne di Luigi Capuana, va da sé che il Piccolo principe, nel suo mood new age, non sia riuscito a diventare per me il libro da cui non ci si vuole mai staccare, il romanzo da rileggere fino a consumarlo, ricco di personaggi indimenticabili, immagini folgoranti e vicende memorabili capace di regalarmi ogni tipo di emozione e di rapirmi nel mio esordio di lettrice indefessa.