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martedì 25 marzo 2025
 
intervista
 

Platinette: «Fedez? Il suo obiettivo era stare al centro dell'attenzione. Il ddl Zan è liberticida, una legge da Germania dell'Est»

02/05/2021  Mauro Coruzzi, in arte Platinette, interviene nel dibattito sulla legge contro l’omofobia in discussione in Parlamento: «Tante donne mi sostengono. La legge non risolve i problemi della discriminazione. Per le aggressioni esiste già il codice penale»

Un frame di Fedez che racconta la sua telefonata con la vicedirettrice di Rai3 Ilaria Capitani.
Un frame di Fedez che racconta la sua telefonata con la vicedirettrice di Rai3 Ilaria Capitani.

Mauro Coruzzi, in arte Platinette, cosa ne pensa della polemica tra la Rai e Fedez?

«Non l’ho seguita bene. Sono tornato sabato sera tardi a Milano da Roma e ho solo letto qualcosa. Certo, spifferare le telefonate private sui social non mi sembra un atteggiamento corretto. Forse il suo obiettivo è restare sempre al centro dell’attenzione e utilizza i media per questo».

Nel dibattito sul cosiddetto “ddl Zan”, la legge contro l’omofobia in discussione in Parlamento e sul quale si dibatte da mesi, Coruzzi è intervenuto più volte: «Ora mi chiamano omosessuale omofobo ma non m’importa molto», dice con un sorriso.

Il ddl Zan non le piace?

«Per niente. La mia indole non è quella di fare il bastian contrario a tutti i costi ma di ragionare sulle questioni in maniera serena. M’inorridisce il fatto che siccome uno è omosessuale debba pensare in un certo modo e dire certe cose. Per me questo è sessismo e razzismo al contrario».

Cosa non condivide di questo progetto di legge?

«Non mi piace l’arroganza con la quale si tenta di imporre a tutti ciò che è ovvio e che tutte le persone ragionevoli e razionali sanno, cioè che non devono esserci discriminazioni o aggressioni di nessun tipo sulla base dell’orientamento sessuale. Poi rivendico il diritto di dire che l’utero in affitto è una pratica aberrante, con i figli ridotti a un prodotto che si ordina e poi si ritira dopo nove mesi. È una violenza inaudita sulle donne ridotte a fare figli per conto terzi e non basta dire che ci sono alcune che scelgono di farsi pagare perché magari sono persone povere e quindi costrette a fare questo. In ogni caso, posso avere la libertà di dire che è una pratica abominevole? Molte donne lesbiche che fanno parte della comunità Lgbt si sono ribellate all’utero in affitto perché la considerano qualcosa di violento e maschilista».

Molti esponenti della comunità Lgbt le rimproverano il suo non essere allineato su questi temi.

«Io non sono la comunità Lgbt ma una persona che tenta di ragionare con la propria testa. La comunità rischia di diventare una specie di prigionia. Se uno ha un’inclinazione omosessuale deve appartenere per forza a un gruppo? Io ho partecipato con la mia band musicale composta tutta da donne a diversi gay pride ma ho sempre sentito una forma di chiusura da quel mondo come se gli omosessuali dovessero essere tutti di una parte politica rispetto a un’altra o comunque con un’etichetta precisa addosso. Non mi piace tutto questo, io sono e sarò sempre un difensore delle libertà individuali anche di quelle che non vanno a braccetto con l’Arcigay o altre associazioni. Per le mie posizioni ho ricevuto grande sostegno e solidarietà da parte delle donne e questo mi fa molto piacere».

Molti l’accusano che, da personaggio televisivo famoso, lei non subisce discriminazioni o aggressioni e quindi non sa quello che provano chi ne è vittima.

«Ma scherziamo? Negli anni Sessanta e Settanta ho preso le cicche spente in faccia e le lattine addosso. So cosa vuol dire essere aggrediti per questi motivi a differenza di certi influencer con milioni di seguaci che mi accusano di non conoscere queste situazioni. Ho vissuto anche l’insorgere di un altro tipo di violenza, più sottile, come quando si parlava dell’Aids come della “peste gay” e sul quale ancora non si è trovato un vaccino dopo quarant’anni. La storia la conosco per averla vissuta. Una volta finii in prigione perché la foto sulla carta d’identità non corrispondeva alla mia faccia».

Il ddl Zan si propone di combattere e punire queste discriminazioni.

«Non sono d’accordo. La legge non risolve questi problemi perché tutte le norme possono punire ma non educare. Per le aggressioni esiste già il codice penale mentre se vogliamo considerare offensivo e persino reato l’utilizzo di un linguaggio anche dissacratorio o imporre come diktat ad esempio la dicitura “genitore 1” o “genitore 2”, ecco tutto questo mi fa paura. Sono leggi liberticide, da Germania dell’Est».

Una legge non può contribuire a far cambiare mentalità?

«Non credo. Faccio un esempio: la legge sull’omicidio stradale ha fatto calare per caso gli incidenti? No, perché gli irresponsabili che si mettono alla guida ubriachi ci sono e ci saranno sempre. Occorre educare, non moltiplicare le leggi, che hanno l'obiettivo di punire, con l’illusione che educhino le persone. Noi come omosessuali possiamo diventare insegnanti, diciamo così, ed educare alla cultura del rispetto e della tolleranza chi non lo è. Il grosso del lavoro lo devono fare coloro che sostengono il ddl Zan con la loro pratica nel quotidiano diventando anche elastici, spiritosi nel linguaggio. A me che si faccia il Family Day non m’infastidisce. Inclusione è una parola che trovo orrenda. Se uno aggredisce in metropolitana due persone dello stesso sesso che si baciano, è un ignorante e violento che va educato e istruito senza illuderci che lo facciano le leggi al posto nostro».

Mauro Coruzzi, in arte Platinette, 65 anni (Ansa)

Cosa ne pensa dello sketch di Pio e Amedeo contro il politicamente corretto?

«Hanno rischiato e avuto coraggio e, da autore televisivo, è stato un successo inaspettato. Non amando particolarmente quel tipo di comicità ho trovato meravigliosa la scelta di elencare una serie di parole che oggi non si possono utilizzare più. Con il Me Too, da una parte, e l’impossibilità di dire una parola fuori dal coro, stiamo creando un esercito del mono pensiero che non solo fa paura ma impoverisce il dibattito culturale, l’arte, la letteratura. Oggi forse Marcella Bella non potrebbe cantare un brano che s’intitola Negro come fece nel 1975. Se uso la parola “negro” non vuol dire che automaticamente lo sto facendo a sfondo razzista. Esiste un contesto e l’arte deve anche essere politicamente scorretta in maniera intelligente altrimenti smette di avere un senso e una funzione. Nel 2002 scrissi un libro ironico, Finocchie, per prendere in giro, con ironia, certi cliché del mondo omosessuale e in copertina apparivo io con un cesto di finocchi. Oggi mi avrebbero condannato al rogo».

In passato c’era più libertà?

«Sicuramente più elasticità mentale. Se una scrittrice come Camilla Cederna ha descritto la borghesia senza nessuna pietà è perché la conosceva bene. Se io mi permetto di descrivere il mondo gay, diciamo così, senza retorica e infingimenti e magari con un filo di ironia è perché lo conosco e perché ritengo che i primi a cui dobbiamo fare le pulci siamo noi stessi. Quando sento dire che gli omosessuali sono più sensibili della media trasecolo. Non è vero, sono stereotipi. Occorre educare alle differenze non all’omologazione. Inserire l'identità di genere nei programmi scolastici è una violenza, una coercizione estrema, perfino superiore a quella dell'utero in affitto, perché significa far prevalere una visione del mondo rispetto ad altre che invece hanno lo stesso diritto di esistere e dire la loro nel rispetto reciproco».

Bisogna cominciare dalla scuola, quindi?

«Ma non è più utile, ad esempio, studiare in classe i grandi cantautori italiani anziché i programmi sul gender? Io alla Maturità chiesi di portare Gli indifferenti di Alberto Moravia perché mi ero invaghito di quest’autore e la canzone L’uomo che si gioca il cielo gioca a dadi di Roberto Vecchioni. Se la scuola insegna a mettere le classificazioni e non a toglierle siamo finiti».

Qual è il suo rapporto con Dio?

«Non ho nessun rapporto, sono lontano dalla fede. Quando è morta mia madre o è arrivata la malattia di mia sorella, ex modella, colpita dal morbo di Parkinson, avrei potuto appellarmi a Dio chiedendogli il perché mi avesse fatto questo ma io non ho nessuno a cui appellarmi. Sono troppo preoccupato per vivere bene e senza fare del male a nessuno su questa terra per pensare all’aldilà. Al contempo, capisco benissimo che chi crede deve essere fedele a quello che crede e alla pratica religiosa che va osservata e onorata fino in fondo. Per esempio, non capisco i preti che vogliono sposarsi o quelli che per apparire “inclusivi” vogliono benedire le unioni omosessuali quando l’atto del benedire, che non significa essere ostili a queste persone, esula dalla loro missione pastorale, dal magistero della Chiesa e dalla Bibbia. Io ho partecipato agli incontri organizzati da un parroco di Cremona con un gruppo di omosessuali cattolici e francamente non capivo da cosa fosse originato il loro disagio, vedevo dei ragazzi non espressi, terrorizzati dal giudizio del mondo interno ma al contempo desiderosi di non perdere l’identità faticosamente conquistata che però non era veicolabile al mondo esterno».

Alla fine ha collaborato con loro?

«Sì, il sacerdote, un tipo molto simpatico, mi chiedeva quale canzone potevano cantare i ragazzi del coro per la festa di Santo Stefano e io gli proponevo le canzoni di Giuni Russo che in molti suoi testi cita Santa Teresa D’Avila fino a Pregherò di Celentano fatta in maniera gospel. Per me questa collaborazione “canora” è stata una maniera inclusiva per interloquire con queste persone e avvicinarmi a un mondo lontano da me».

Altre esperienze con uomini di Chiesa?

«Da piccolo ho fatto il chierichetto e ho vissuto l’infanzia nel “Villaggio del Fanciullo” di Parma insieme alle suore. Mia madre mi mandava lì perché facendo l’operaia in fabbrica non mi poteva accudire. Quella vita che sembrava monotona o noiosa è stata una grande esperienza di vita. Dio benedica quelle suore perché da loro ho imparato la pratica della lettura, visto che avevano una biblioteca sterminata e con volumi interessantissimi, il senso del silenzio, il tempo da non sprecare, e mi piaceva che ci fosse qualcuno che ti diceva chiaramente cosa dovevi fare come la madre superiora che aveva sempre gli occhiali neri e con un piglio deciso mi ordinava di curare il giardino. Forse quelle suore sono state un regalo divino».

Progetti per il futuro?

«Voglio creare una libreria e un negozio virtuale dove vendere solo biografie dei personaggi, compresi i santi, perché tutte le vite degli altri sono sceneggiature fantastiche e vanno rispettate nel loro impasto di eresia e santità».

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