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sabato 12 ottobre 2024
 
 

Qualcuno ha chiesto se si sentono protetti?

19/12/2013  Gli Stati Generali del Cismai sono serviti a indicare la strada da percorrere per tutto ciò che significa mal-trattamento

Sono state due giornate intense quelle vissute a Torino il 12 e 13 dicembre: gli Stati Generali del Cismai, Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia, mai come quest’anno, sono serviti per fare il punto e guardare al futuro in modo costruttivo e concreto. Il mal-trattamento non può più essere un problema di vittime e carnefici ma se ne deve fare carico la società tutta. Tra gli ospiti che hanno partecipato al congresso il professor David Finkelhor, docente di Sociologia presso l’Università del New Hampshire, tra i massimi esperti mondiali di problematiche legate alla traumatizzazione infantile e alle sue conseguenze sulla salute fisica e mentale dei bambini. Un suo studio, presentato in questa occasione e frutto dell’analisi di 300 indagini sul maltrattamento a livello internazionale, ha rilevato la “globalizzazione” del fenomeno dell’abuso, sempre più diffuso a qualsiasi latitudine. Sulla base di questo assunto, solo apparentemente banale, il convegno è entrato nello specifico del caso Italia con l’intento di indicare le priorità che, soprattutto le istituzioni, devono tenere in considerazione per provvedimenti e interventi che non possono più essere rimandati: il maltrattamento rappresenta una minaccia per il benessere e la crescita di oltre 100mila bambini italiani in carico ai servizi. Un numero che però non tiene conto del “sommerso”. Stando alle stime, infatti, così come sono state diffuse dall’Oms, la misura reale è di almeno nove volte superiore a “ufficiale”. Cosa fare dunque? 

Le risposte migliori, come accade spesso, sono frutto dell’ovvio e dunque difficilissime da attuare: «L’unico modo per tutelare i bambini con gravi disagi – si legge nel documento di sintesi del congresso – è rilevare e segnalare la violenza e la trascuratezza e per farlo sono necessarie la formazione e la collaborazione di tutti i professionisti che operano nel settore dell’infanzia e dell’adolescenza. Non è un mistero che l’Italia sia stata già al centro di alcuni richiami da parte delle Nazioni Unite per un atteggiamento fino a oggi troppo “morbido” sul tema del maltrattamento: mancano, infatti, dati e studi su cui elaborare piani e strategie mirate. Urgono da parte dello Stato continuità e stabilità per creare un sistema nazionale di sorveglianza in grado di rilevare il maltrattamento, valutare l’efficacia delle politiche, riformare le strategie di intervento».
 

Dal canto suo Dario Merlino, presidente del Cismai, ha portato al centro della discussione un tema molto attuale: «Per prevenire gli allontanamenti bisogna prevenire i maltrattamenti e usare gli strumenti di supporto in modo appropriato. Il maltrattamento istituzionale è un danno doppio per il bambino». Un segnale chiaro che invita ciascuno a prendersi le proprie responsabilità. Impresa non facile in un Paese che nel tentativo disperato di far quadrare i conti taglia in modo sistematico tutto ciò che ha a che fare i minori: non solo la scuola, ma anche i servizi per la prevenzione e la protezione dei bambini maltrattati. Girarsi dall’altra parte di fronte al fenomeno e fingere che non esista per dare la priorità ad altro è una sconfitta per tutti i cittadini oltre che un costo di proporzioni incalcolabili per lo Stato stesso: non finanziare i servizi all’infanzia è un boomerang economico negativo facilmente misurabile in termini di costi sociali. 

Soprattutto su un tema tanto delicato, anche il fattore tempo ha un’importanza capitale: prima si arriva a (ri)conoscere il disagio, maggiori sono le possibilità di limitare i danni. Esistono segnali che, se debitamente colti, garantiscono che fin dalla nascita i bambini maggiormente esposti al rischio di maltrattamento siano accompagnati e seguiti a livello individualizzato. Il maltrattamento, così, potrebbe addirittura essere evitato. Il tutto in una logica di consapevolezza in cui le vittime non possono passare per carnefici: «Esistono stereotipi e pregiudizi (miti di violenza, cultura della violenza) – ha spiegato Andrea Bollini, direttore del Centro studi sociali sull’infanzia e l’adolescenza Don Silvio De Annuntiis – che portano a screditare la testimonianza della vittima e minano l’imparzialità di giudizio a favore dell’adulto che abusa». 
 
E se da un lato l’aggiornamento della formazione degli operatori rappresenta un elemento determinante della crescita del sistema italiano, dall’altro serve un approccio che coinvolga quanto più direttamente possibile i soggetti autori della violenza e, prima ancora, gli adulti che mettono in luce, ognuno a proprio modo e secondo dinamiche differenti, gravi “disfunzioni” nell’esercizio della funzione genitoriale.

Un interrogativo, però, più degli altri, merita una risposta: cosa pensano i bambini degli strumenti di protezione messi a loro disposizione dall’ordinamento? È tempo di uscire da una prospettiva puramente incentrata sulla necessità di protezione dei minori: questi, infatti, sono innanzitutto soggetti attivi della relazione e dunque possono portare un contributo e un punto di vista quanto mai inedito sui legami e le dinamiche familiari in crisi. A ciò si collega a doppio filo il tema della cosiddetta violenza assistita: ha un gravissimo impatto sui bambini e i programmi nazionali e regionali in questo campo devono coordinarsi in modo integrato.

 
 
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