Cari amici lettori, in un mondo che sembra impazzito e dove i “grandi” del pianeta parlano di guerra (magari con qualche contorsionismo per non nominare la parola), il rischio è di cedere rassegnati a questa retorica, dove oltre tutto è difficile distinguere verità e menzogna (vedi le diverse dichiarazioni sul pericolo atomico che proverrebbe dall’Iran).
Perciò giungono come una denuncia coraggiosa, forte e chiara, le parole di Leone XIV dello scorso 26 giugno. Il Papa ha parlato della «veemenza diabolica» con cui la violenza della guerra si abbatte in Medio Oriente, dell’umiliazione del diritto internazionale e umanitario con l’imposizione della «legge del più forte», affermando che «questo è indegno dell’uomo, è vergognoso per l’umanità e per i responsabili delle nazioni».
Ha denunciato, senza mezzi termini: «La gente non può morire a causa di fake news». Un chiaro riferimento alle affermazioni sul possesso di armi nucleari da parte dell’Iran sostenuta dal governo degli Stati Uniti, ma smentita dall’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica.
Papa Prevost ha ammonito con forza contro l’illusione di risolvere i problemi con la guerra: «Come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino la pace e non si ritorcano contro chi le ha condotte?».
Nell’Angelus della domenica precedente, 22 giugno, aveva poi denunciato, con molto realismo, che «la guerra non risolve i problemi, anzi li amplifica e produce ferite profonde nella storia dei popoli, che impiegano generazioni per rimarginarsi».
Ho riportato solo alcuni stralci della perorazione appassionata («Il cuore sanguina» ha detto, pensando ai Paesi devastati dalla guerra) che papa Leone sta portando avanti per la causa della pace.
Rivolgendosi ai vescovi delle Chiese del Medio Oriente, ha chiesto loro di «alzare la voce, rimboccarsi le maniche per essere costruttori di pace».
Rimboccarsi le maniche per essere costruttori di pace: sembra proprio lo slogan adatto per l’iniziativa di una parte del mondo cattolico, che ha avanzato, lo scorso 24 giugno, la proposta di istituire un Ministero della pace. Hanno aderito oltre 30 tra associazioni e organismi ecclesiali, civili e laici. Tra gli altri, l’Azione cattolica, promotrice insieme alle Acli, alla Fondazione Fratelli Tutti e la Comunità Papa Giovanni XXIII.
Il realismo ci dice che difficilmente la proposta sarà accolta, ma rimane il suo grande valore ideale e la forza della sua provocazione politica.
Laila Simoncelli, coordinatrice nazionale della campagna Ministero della Pace, ha detto una cosa molto interessante in proposito: «Come mai nel nostro Paese abbiamo strutturato la difesa armata ma non c’è possibilità per i cittadini che vogliono, di formarsi e ingaggiarsi nella difesa popolare non violenta e non armata?».
In altre parole: perché la pace non ha gli stessi “diritti” della guerra?
La stessa Simoncelli ha citato una serie di iniziative di educazione alla pace che già esistono in questo senso nella società, nel terzo settore e che vengono applicate in alcuni Paesi (Costa Rica, Nepal, Etiopia) dove è lo Stato a fornire ai cittadini competenze sulla pace.
Mi viene sempre in mente l’esempio di Gandhi e del suo metodo non violento. Il Mahatma diceva di ispirarsi alle parole “rivoluzionarie” di Gesù nel discorso della montagna, a cui i cristiani credevano poco. Eppure il Maestro, su quella montagna, ha proclamato beati «gli operatori di pace»: coloro che fanno la pace, la attuano. Non coloro che promuovono e sostengono la guerra.
(foto in alto: Abaca/ANSA)