Adriano Panatta accredita la leggenda secondo cui, nella genesi del punteggio del tennis, avrebbe messo l’artiglio un diavoletto dispettoso: non solo e non tanto perché il punteggio del tennis è cerebrale e complicato, quanto per il fatto che, a causa di questa complicazione, permette che si possa perdere una partita anche facendo una somma di punti superiore a quella dell’avversario vincitore.
Punti e game
Vediamo come funziona: i punti del tennis non vanno, come una mente razionale immaginerebbe, dall’1 in su. Si contano invece in un modo strano: il primo punto è 15, di lì si va a 30, e poi a 40. Se si porta a casa anche il punto successivo al 40 si vince il game e si va 1-0 (perché i game - giochi-, a differenza dei cosiddetti quindici, si contano a partire dall’uno).
Non bastasse questa stranezza, c’è un ma: se ci si trova 40-40 (che si legge 40 pari, non 40 a 40), invece, si va ai cosiddetti vantaggi perché sul 40-40 un punto non basta: per ottenere il game bisogna vincere due punti di seguito. Facciamo un esempio: se Sinner-Alcaraz stanno 40-40 e Sinner vince il punto si va ad AD-40 (dove AD sta per Advantage/vantaggio), perché avendo vinto il primo punto Sinner ha il vantaggio che gli consente di vincere il game se si aggiudica anche il punto il successivo. Se invece sull’AD-40 vince il punto Alcaraz, si torna 40-40 (altrimenti detto “deuce”, parola di incerta origine) e si continua con questa altalena finché uno dei due contendenti non stacca l’altro di due punti consecutivi. Sembra difficile, detto così, ma dopo un po’ di partite guardate in Tv ci si abitua.
15-30 o 30-15? Di chi è il punto?
Durante le partite si sente parlare di 15-30 o di 30-15, come si fa a capire di chi è il punto? Lo si capisce dal fatto che il primo di questi due elementi del punteggio indica sempre il giocatore che in quel game si trova alla battuta (o servizio), in Tv lo si individua, nello schemino in sovraimpressione che mostra il punteggio, grazie un pallino o a un baffo accanto al nome.
A ogni gioco/game, il servizio passa di mano. E a ogni game dispari si cambia campo. Ogni sette game il giocatore che va al servizio lo fa con palline nuove, cosa che dà un lieve vantaggio di potenza.
Che cos’è il break?
Alla lettera “rottura”, nel tennis il break è il game vinto sul servizio avversario: dato per assodato che il giocatore al servizio ad alto livello è avvantaggiato nel comandare lo scambio, la sfida del tennis è riuscire ad aggiudicarsi il game in risposta, in gergo “strappare il servizio all’avversario”, preludio ai due giochi di stacco che servono a vincere il set.
Vince il set il giocatore che per primo totalizza 6 game staccando l’avversario almeno di due. La maggior parte dei tornei maschili e tutti i femminili si giocano con partite di tre set, vinte dal primo che ne totalizza due. I quattro tornei più importanti, che compongono il Grande Slam, nel circuito maschile si giocano invece con partite di 5 set: occorre dunque vincerne tre per aggiudicarsi l’incontro.
Rompere il nodo, spezzare lo stallo: tie-break e supertie-break
In origine dal 6-6 il rischio era che le partite proseguissero all’infinito. Per interrompere lo stallo è stato inventato il tie-break, alla lettera “rottura del nodo”: si tratta di un game rapido, in cui i due giocatori giocano 7 punti: servendo due volte ciascuno, tranne per il primo punto, che prevede un servizio singolo, perché i punti sono dispari. Anche qui il primo giocatore che arriva a 7 con due punti di vantaggio vince il set finito in stallo sul 6 pari.
Così è di regola, ma per molto tempo i grandi tornei non hanno avuto il tie-break nel set decisivo, per esempio su 2-2, 6 pari del quinto set: in questi casi si andava a oltranza. E si è prodotta così la partita più lunga della storia: La partita più lunga nella storia del tennis professionistico. È terminata a Wimbledon il 24 giugno 2010 e a vincerla è stato John Isner contro Nicolas Mahut dopo 11 ore e cinque minuti di gioco, spalmati su tre giorni. Anche a causa di episodi come questo, esigenze di programmazione organizzative e televisive hanno convinto negli anni alcuni organizzatori a introdurre il tie-break anche lì, altri, invece, hanno lasciato tutto com’era, col risultato che ogni torneo faceva a proprio modo.
Così è stato, finché nel marzo 2022 i quattro tornei del Grand Slam hanno congiuntamente deciso di uniformare la situazione: da allora i tornei Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e Us Open, in caso di parità 6-6 al quinto set nel torneo maschile e al terzo nel torneo femminile a decretare il vincitore è un super tie-break da 10 punti.
Net o let? L'inciampo nella rete
Net in inglese è la rete, si usa questa parola quando una palla tocca la rete, cadendo di qua o di là come in un famoso film di Woody Allen. In corso di gioco il net è valido vada come vada, se invece è un servizio a toccare la rete le cose cambiano un po’: se la palla tocca la rete e non passa oppure passa ma esce dalle linee del quadrante del campo in cui il servizio deve cadere, il giocatore al servizio ha diritto a una seconda palla. Se sbaglia una seconda volta fa “doppio fallo” e perde il punto. Se invece la palla sfiora la rete ed entra nel quadrato regolamentare, quella palla si ripete: questa situazione nel tennis si chiama “let” e in quel caso sentirete l’arbitro di sedia sentenziare: “Let, first/second service”, significa che si riparte dalla prima/seconda palla come se quella battuta non fosse esistita.
Occhio di falco, il var del tennis
Il challenge è invece il Var del tennis, ossia la possibilità che si dà a ogni giocatore, massimo tre volte a ogni set, di avere la verifica tecnologica di una chiamata dubbia dentro/fuori del giudice di linea.
Utilizzata per la prima volta il 22 marzo del 2006 la tecnologia comunemente detta “occhio di falco” (dall’inglese Hawk-Eye, in omaggio al suo primo sviluppatore Paul Hawkins) a Key Biscayne, ora è in uso in tutto il circuito dei tornei maggiori e dal 2025 entrerà anche per i campi in terra rossa dove fin qui ha resistito il segno della palla foriero di tante battaglie tra giocatori e arbitri.
Non solo, la pandemia ha accelerato anche l’electronic Line Calling Live (ELC Live), che sostituisce il giudice di linea umano, chiamando elettronicamente direttamente la palla dentro o fuori, il sistema dal 2025 sarà ufficiale in tutti i tornei del circuito professionistico maschile.
Ranking mondiale e altre classifiche, come si diventa numero 1
Le associazioni del tennis professionistico maschile (Atp) e femminile (Wta) aggiornano ogni lunedì la classifica mondiale del tennis (Ranking), che tiene conto dei punti che ogni giocatore ha conquistato nelle ultime 52 settimane: siccome il calendario dei tornei è sempre nello stesso ordine, al termine di un torneo per ogni giocatore scadono, ossia vengono sottratti al conteggio valido per la classifica, i punti conquistati nella precedente edizione di quello stesso torneo e vengono sostituiti da quelli presi nell’anno in corso.
Questo spiega perché Novak Djokovic, precedente numero 1, che aveva vinto nel 2024 (2000 punti in scadenza), avrebbe avuto bisogno di arrivare almeno in finale e prenderne 1.200 per mantenere la classifica su Sinner, che non aveva quasi punti in scadenza a Parigi, ma che ne aveva accumulati molti dall'autunno 2023. A Sinner dunque sarebbe bastato che Djokovic uscisse dal torneo prima della finale per diventare numero 1 e sarebbe accaduto anche se non avesse partecipato al Roland Garros. Se invece Djokovic fosse arrivato in finale, Sinner sarebbe potuto diventare numero 1 nel corso del torneo parigino soltanto sconfiggendo Djokovic in finale.
Così i tornei danno i numeri: come si fa a fare punti ATP
I punti della classifica mondiale Atp vengono dalla somma dei punti raggranellati nei 19 tornei più importanti: i 4 tornei del Grand Slam danno 2000 punti al vincitore, 1.200 al finalista e 800 ai semifinalisti. Un master 1000 si chiama così perché dà mille al vincitore idem per tornei 500, 250 etc. Ogni professionista deve partecipare obbligatoriamente ai 4 Slam, a 8 masters 1000, ad almeno 4 500, cui sono qualificati in base alla classifica. Questo fa sì che nel circuito del tennis non ci si possa fermare mai, altrimenti è pressoché impossibile non precipitare dalla classifica. In caso di grave infortunio o gravidanza, con almeno sei mesi di stop, è ammessa la possibilità di chiedere un ranking protetto: ossia di rientrare contando, per un massimo di nove tornei, sulla classifica che si aveva al momento dell’interruzione. Un diritto che però si perde se ci si ferma per più di tre anni. Al termine di ogni stagione i migliori 8 dell’anno solare si conquistano il diritto a partecipare all’Atp Finals.
Altre classifiche: race e olimpica
Per decidere chi partecipa alle Atp Finals, in questi anni in programma a Torino, non si guarda la classifica mondiale Atp, calcolata come sopra, ma la cosiddetta Race: ossia la classifica che somma, con le stesse modalità dell’Atp Ranking, i punti conquistati nell’anno solare a partire del 1° gennaio. Ogni anno si riparte da zero quindi senza punti da difendere.
La cosiddetta Olympic race determina invece l’accesso diretto a 56 dei 64 posti di singolare, in base alla classifica nel caso di Parigi al 10 giugno 2024. Ogni comitato olimpico nazionale (Coni per noi) potrà iscrivere un massimo di 4 giocatori, che devono essere in regola con gli impegni della Coppa Davis e del suo equivalente al femminile, Billy Jean King Cup. Davis e Cup non danno punti nelle classifiche Atp e Wta, ma chi non risponde alla convocazione non può partecipare all’Olimpiade.
Che cos’è il Grand Slam, l'araba fenice del tennis
È la massima aspirazione e l’araba fenice dei tennisti: lo vince chi si aggiudica Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e Us Open nello stesso anno solare, un’impresa riuscita soltanto a cinque tennisti nella storia, a tre dall’inizio dell’era open (ossia professionistica, dal 1968) e solo a Steffi Graf da quando la classifica è stilata al computer (1974).
1938 – Don Budge (singolare maschile)
1953 – Maureen Connolly (singolare femminile)
1962 – Rod Laver (singolare maschile)
1969 – Rod Laver (singolare maschile)
1970 – Margaret Court (singolare femminile)
1988 – Steffi Graf (singolare femminile, foto Reuters)
Un gergo misterioso
La lingua del gergo tennistico è misteriosa, evoluzione degli antichi giochi di palla con diversi sistemi propulsivi, il tennis ha origini almeno rinascimentali. Brevettato dall’inglese Walter Clopton Wingfield nel 1873 il tennis esisteva da secoli e si chiamava già così da tempo: nel primo atto dell'Enrico V di Sheakespeare (1598-99) si citano "tennis balls" (palle da tennis) e la prima immagine nota di una racchetta cordata risale al giugno 1552, in un ritratto di Carlo Massimiliano Duca d’Orléans bambino: questo spiega perché le parole del gergo di questo sport, spesso probabilmente mescolate di inglese e francese, hanno spesso origini ed etimi incerti. Chi volesse conoscerne tutta la fascinosa storia dovrebbe attingere al monumentale 500 anni di tennis dello scriba Gianni Clerici, da cui sono tratti queste due attestazioni d'antichità.