Cari amici lettori, quante volte abbiamo pensato o detto che nel mondo tutto va male, che non ci si può fidare di niente e di nessuno… e via dicendo? Certamente non siamo ingenui e non possiamo negare l’esistenza del male, della cattiveria, dell’egoismo. Ma questo “occhio cattivo” rischia, oltre che di rinchiuderci in un’amarezza sconfinata, anche di non farci più percepire il bene che c’è. Sì, perché il bene c’è – disseminato nel mondo, assieme alla zizzania – e ha inizio con l’azione di Dio in questo mondo. Anche al di fuori della cerchia dei credenti. A questo ho pensato leggendo la storia di Diletta Lago, che vi raccontiamo a pag. 20: la giovane – 18 anni appena compiuti – è stata nominata “alfiere della Repubblica” dal presidente Sergio Mattarella lo scorso 24 febbraio. Una storia incantevole di bene feriale, nell’amicizia quotidiana con una ragazza disabile, Angelica, a cui è legata dall’infanzia.
E – si schermisce Diletta - «non faccio nulla che meriti un premio». Davvero il bene è anche “inconsapevole” di sé a volte! Un’amicizia semplice, cordiale, che però cambia il “piccolo” corso della vita di chi sta accanto. E, riconosce Diletta, parlando di Angelica, «è lei che aiuta me: la sua risata mi aiuta a prendere la vita con più leggerezza». Nel dare si scopre anche di ricevere, di arricchirci reciprocamente. Un’altra vicenda – purtroppo tragica – mi ha fatto pensare a come il bene spesso sia nascosto nel cuore delle persone e affiori solo in alcune occasioni: il naufragio dei profughi sulle coste di Cutro lo scorso 26 febbraio.
Mi ha colpito, in questa vicenda desolante, la partecipazione commossa – il 5 marzo – di tante persone (pare un migliaio) del paesino calabrese alla Via crucis sulla spiaggia, con la croce ricavata dal legno dell’imbarcazione affondata, a testimoniare una pietas cristiana per tante vittime innocenti. Era presente anche, accanto a sindaci, sacerdoti e vescovi, l’imam Mustafa Achik. Un’anziana signora ha offerto le proprie tombe di famiglia per dare sepoltura a qualcuno dei naufraghi. Su questa tragedia ci offre le sue riflessioni il vescovo di Crotone, Angelo Raffaele Panzetta (pag. 24). Una testimonianza corale che ha fatto affiorare un desiderio di accoglienza e di umanità che c’è ancora. «Avremmo voluto accogliere queste persone da vive e non da morte, a noi non ci fanno paura i vivi, ci inorridiscono i morti», ha dichiarato in quell’occasione un altro vescovo della zona, quello di Lamezia, Stefano Parisi. È una questione che precede la politica e parte dal cuore di tanta gente, e che dovrebbe interrogare come una “profezia” anche la politica.
Le persone, la loro vita, vengono prima di ogni altra considerazione. L’atteggiamento di questa folla semplice mi pare che indichi un bene possibile, il segno di un’apertura di fondo e di un’istintiva generosità della società italiana. Si tratta, in fin dei conti, di una provocazione anche per noi credenti a non accontentarci di un certo qual “quietismo” spirituale: non basta “astenersi” dal male, occorre mettere in campo azioni positive: «Imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso…» (Isaia 1,16). Nelle piccole cose come nelle grandi.