«Non vorrei essere frainteso,
ma vorrei dire che
dal Sinodo non ci si deve
aspettare nulla. Nel senso
che il Sinodo non è un
luogo deliberativo che
produce qualcosa che poi si deve fare.
È piuttosto un laboratorio, ma poi è il
Santo Padre che deciderà ciò che è necessario
offrire a tutta la Chiesa come
intuito pastorale e “atteggiamento
nuovo”». Il cardinale Edoardo Menichelli,
Arcivescovo di Ancona-Osimo,
segretario della Commissione episcopale
italiana per la famiglia e membro
di nomina pontificia del Sinodo dei
Vescovi sulla famiglia chiarisce subito
che, «come dice la parola stessa, il
Sinodo è un convenire, un camminare
insieme. È un luogo in cui si dialoga e si approfondisce. Alla fine daremo la
nostra relazione al Papa a cui spetta
decidere».
- Le attenzioni della vigilia si sono
concentrate sui soliti temi delle
unioni civili e dei divorziati risposati.
Come affrontate la questione durante
queste settimane di lavoro?
«Il problema della famiglia è più
ampio di queste situazioni che ben
conosciamo e verso le quali abbiamo
avuto e abbiamo atteggiamenti pastorali
di accompagnamento, di tenerezza.
Naturalmente facendo a tutti
l’invito di rispondere no al semplice
“mi piace”, ma di rispondere invece sì
a quel progetto che Dio ha dato loro.
La vera misericordia è un cammino di
grazia per tutti».
- Lo scorso anno il Sinodo straordinario ha fatto un po’ la fotografia
della famiglia. Quest’anno su cosa vi
concentrate?
«Sì, lo scorso anno si era dibattuto
sulle sfide pastorali con tutte le problematiche
– le avevamo chiamate
anche ferite – che toccano la famiglia,
la sua vita di grazia, quella spirituale
e anche la vita sociale. Quest’anno il
tema muove da un aspetto positivo,
da quello che appartiene più all’identità
della famiglia che nasce dal sacramento
del matrimonio. Il tema, che
è la vocazione della famiglia e la sua
missione, comporta alcuni approfondimenti
particolari. Ricordiamo che il
Sinodo non raccoglie solo Vescovi italiani
o europei, ma convoca i Vescovi di
tutto il mondo, quindi con sensibilità
e situazioni diverse. E però siamo di fronte all’unico sacramento, all’unico
progetto famiglia che noi dobbiamo
annunciare – ecco l’evangelizzazione
– che noi dobbiamo accompagnare –
ecco la pastorale – che noi dobbiamo
orientare per far sì che la famiglia sia
consapevole di questo privilegio, di
questo dono e lo possa poi vivere».
- Qual è l’apporto specifico della
Chiesa italiana?
«La situazione della famiglia la conosciamo
tutti, quello che ci interessa
vedere è come tutto questo progetto di
Dio, questa cellula indispensabile per
la società e la vita della Chiesa possa
essere conosciuta, apprezzata e possa
rispondere a quelli che sono i suoi
compiti».
- Il Motu proprio sulla nullità recentemente
pubblicato da papa Francesco
ha tolto alcuni temi caldi dalla
discussione?
«Il Papa stesso nel presentare il
Motu proprio fa riferimento a quanto
era stato detto e notato nel Sinodo
straordinario dell’anno scorso. Adesso
comincia un’altra fase, perché
l’intervento del Papa apre uno spaccato
pastorale che va studiato, approfondito,
realizzato con lo spirito
di servizio, verità e misericordia che
sempre ci deve accompagnare».
- Cosa si augura dai lavori di queste
settimane?
«Vorrei che si comprendesse quanto
la famiglia è nell’amore della Chiesa,
nella sua attenzione. La Chiesa
è consapevole sia della sacralità del
matrimonio che dell’indispensabilità
della famiglia. Allo stesso tempo sa
anche che, come Chiesa, come madre
deve accompagnare, deve aiutare, deve
sostenere la famiglia. E poi sarei contento
se tutti capissero la grandezza
della famiglia. Ho l’impressione che
tutti parlano della famiglia, tutti chiedono
la famiglia, tutti si servono della
famiglia, tutti vogliono responsabilizzare
la famiglia ma spesso tutti – e
dico proprio tutti, non solo la Chiesa –
alla famiglia diamo ben poco».