Poteva sembrare una scelta ardita quella di far interpretare a Silvio Orlando il ruolo di un bambino musulmano. Invece l’attore napoletano, milanese di adozione, ha vinto la sfida, offrendo al Teatro Franco Parenti di Milano (in cui va in scena fino al 6 febbraio,) una mimesi più che convincente di Momò, il protagonista di La vita davanti a sé, di Romain Gary, pubblicato nel 1975, vincitore del premio Goncourt e portato al cinema nel 1977 con Simone Signoret (premio Oscar come miglior film straniero), e poi nel 2020, dove Edoardo Ponti dirige la madre Sophia Loren. Orlando ha anche riadattato il testo e curato la regia, e in sena è affiancato dall’Ensemble dell’Orchestra Terra Madre con Simone Campa chitarra battente, percussioni, Gianni Denitto clarinetto, sax, Maurizio Pala fisarmonica, Kaw Sissoko kora, Djembe. Con una sorpresa finale, quando dopo la fine dello spettacolo Orlando si unisce all’ensemble esibendosi in alcune esecuzione al flauto traverso.
La storia di La vita davanti a sé è nota: madame Rosa è un ex prostituta ebrea scampata ai campi di sterminio nazista che nel quartiere di Belleville a Parigi accoglie a pagamento i figli delle prostitute. È molto vecchia e malandata e per lei arrampicarsi al sesto piano senza ascensore è sempre più una tortura. Tra i bambini che ospita c’è Momò, l’unico la cui madre non viene mai a trovarlo, l’ultimo che rimarrà con madame Rosa, quando diventa troppo ammalata per occuparsi anche di altri bambini. Tra i due si instaura un rapporto di fiducia e affetto, Momò ha un disperato bisogno d’amore, e madame Rosa è tutto per lui. Quando la donna è ormai troppo malata, Momò si rifiuta di portarla all’ospedale e le concede di morire con lui a fianco nel rifugio in cantina che madame Rosa aveva predisposto sempre con l’incubo che i nazisti sarebbero andati a prenderla.
La voce narrante di Momò è tenera e sfrontata, innocente e arguta: il condomino dove abitano è popolato da gente di ogni tipo di provenienza, regna una comune solidarietà, non ci sono discriminazioni, ma una totale apertura al diverso. A soccorrere in caso di bisogno i due è madame Lola, un travestito di colore. E poi c’è il medico ebreo dottor Cohen, lo spacciatore, il quattro fratelli forzuti, signore gentili. Una sorta di prova generale di quello che certi quartieri di Parigi sarebbero poi diventati all’insegna della convivenza tra culture religioni e stili di vita diversi. Le ultime parole del romanzo di Gary che sono anche quelle dello spettacolo dovrebbero essere una bussola in questi anni dove la compassione rischia di diventare un lusso per pochi: "Bisogna voler bene"..
Silvio Orlando intenerisce, commuove, diverte, con i tempi giusti che strappano qualche risata e soprattutto applausi a scena aperta.