Non è mai banale Sofia Goggia, non è mai “a tavolino” nei suoi interventi, quella capacità introspettiva, che a PyeongChang nell’analizzare l’errore in SuperG fece intuire le sensazioni giuste per poi vincere la libera olimpica, non viene mai meno né nei momenti buoni, né in quelli difficili, tanti entrambi in una vita agonistica tutta vette e abissi (infortuni, mai ritirate).
Nei giorni immediatamente successivi all’ennesima caduta, all’ennesimo grave infortunio – sfortunato proprio perché occorso durante un allenamento senza particolari rischi intrinseci – Sofia aveva pubblicato la foto tenerissima di un abbraccio con papà Ezio, ingegnere con una vocazione artistica, con cui si sa che c’è un legame forte. Stavolta è un post su Instagram, la prima vera “uscita” pubblica in un periodo psicologicamente certo non facile, spiega il senso di quell’abbraccio che allora parlava solo con l’immagine: «Se questo è il piano che Dio ha riservato per me, altro non posso fare che spalancare le braccia, accoglierlo e accettarlo». Ha esordito Sofia, accanto a una foto forse forzatamente sorridente con sutura e stampelle in vista, spiegando: «Questa frase, che già utilizzai prima di Pechino, non è mia ma di Elena Fanchini: la pronunciò durante un’intervista con la sua autentica genuinità - che tanto mi manca!- quando venne a sapere della ricaduta del tumore».
«Mi sono ispirata a Lei», spiega Sofia, «l’ho fatta “mia” ed è ciò che mi sono detta quando mi stavano trasportando a Milano in elicottero, con la ferma consapevolezza che quella sgradevolissima sensazione che avevo avuto in pista, quando ancora non mi ero fermata dalla caduta, era veritiera: la mia tibia era rotta e frantumata».
E lì si capisce l’importanza di papà Ezio: «Mio papà», racconta Sofia, «mi ha scritto per messaggio che “questo mio dolore non sarà invano” ma, anche se poi il tempo mi dirà che lui aveva ragione, attualmente stento a crederci. Non è un osso che si rompe e non è la fatica, seppur pesantissima, del settimo, complicato, intervento chirurgico in carriera. Ciò che fa male, davvero male, è quella lacerazione che sento dentro al petto, strappo che solo io posso avvertire radicato nel mio profondo, figlio del fatto di essere per l’ennesima volta a tu per tu con me stessa in una situazione del genere nonostante gli sforzi, l’impegno e le scelte lavorative affinché la possibilità che questo tipo di avvenimenti potesse accadere, si riducesse drasticamente».
Non se la prende con la sfortuna, men che meno con il Dio cui non ha mai nascosto di credere: «… è l’impossibilità di riuscire solamente, che poi per me è tutto, a vivere normalmente la mia passione sugli sci, passione per cui ho lavorato e per cui lavoro assiduamente da una vita intera. Fa malissimo. Ma bisogna trovare la forza e andare avanti. La Elly aveva ragione: per quanto dura sia accettare questa situazione, non posso fare altrimenti; il senso forse arriverà poi. È “solo” una prova in più: difficilissima, tosta, ma una in più». E poi la promessa, con l’ammissione dell’umanissima fatica che comporta: «E, caro papà.. anche se nel mio cuore mi sembra di essere ferma distesa su quella pista a Ponte temendo il momento in cui dovrò incrociare gli occhi del mio allenatore, skiman e preparatore per dirgli che anche quest’anno il Sogno si è interrotto, ti prometto che ce la metterò tutta per far sì che questo dolore terribile non sarà invano».
Glielo auguriamo di cuore, per il suo coraggio, per quel motto “only the brave”, solo chi ha coraggio, che da tutta la vita Sofia prende così terribilmente sul serio, senza mai perdere la sua spontaneità.