Il presidente cinese Xi Jinping
Pochi giorni fa Radio Free Asia ha diffuso la notizia secondo cui il regime cinese ha costretto, nel dicembre scorso, un gruppo di monaci e fedeli tibetani ad assistere al processo di demolizione di una statua di Budda alta quasi 12 metri situata nel tempio di Thoesam Gatsel, nella prefettura autonoma tibetana di Garzê (provincia del Sichuan). In gennaio undici di questi monaci sono stati picchiati e arrestati dalle autorità cinesi per aver diffuso la notizia dell’accaduto e, perciò, inviati nei campi di lavoro della regione.
La statua del Budda, costruita legalmente nel 2015, aveva un significato speciale per i monaci i tibetani locali. Come ha spiegato Kelsang Gyaltsen, rappresentante dell’amministrazione centrale tibetana a Taiwan: «Il tempio di Thoesam Gatsel si trova nella contea di Luhuo, che si trova in una zona sismica insieme alla vicina contea di Dawu. I tibetani credono che la statua del Buddha possa proteggere le persone dai terremoti». La demolizione è iniziata il 12 dicembre 2021 ed è durata nove giorni. Oltre alla statua, sono state distrutte anche 45 “ruote della preghiera”, cilindri rotanti su un asse utilizzati dai fedeli tibetani ogni giorno per manifestare la loro devozione.
Contemporaneamente alla notizia di questa ennesima violazione della libertà religiosa nel territorio della Repubblica Popolare Cinese, l’agenzia Eglises d’Asie, promossa dai MEP (Missions Etrangères de Paris), riferisce dell’uscita di un nuovo libro sull’ateismo promosso dal governo cinese e destinato alle scuole e ai quadri del Partito Comunista Cinese (Pcc). “I principi dell'ateismo scientifico” (questo il titolo del volume) si struttura in quattro capitoli: “Cos'è Dio”, “Prova della non esistenza di Dio”, “Gli dei e il loro impatto” e “Teoria e politica religiosa del Partito Comunista” e si chiude con un’appendice intitolata “Conoscenza teologica generale e critica della religione”. L’autore del manuale è Li Shen, un docente di 76 anni, che ha lavorato per l’Accademia Sociale Cinese delle Scienze, all’interno del World Religions Institute, e ricopre la carica di vicepresidente della Società cinese di ateismo. Quel che più colpisce è che il testo fa sua una teoria del presidente Xi Jinping secondo cui la cultura cinese non è mai stata religiosa, oltre a riprendere pedissequamente le posizioni di Marx, sostenitore dell’ateismo scientifico.
Ufficialmente, come noto, la Cina comunista riconosce cinque religioni organizzate (Buddismo, Taoismo, Cattolicesimo, Protestantesimo e Islam). Lo Stato richiede che tutte le attività religiose siano rigorosamente controllate dalle istituzioni religiose ufficiali e in conformità alle leggi cinesi. Ma, come afferma Eglises d’Asie, «le repressioni contro religioni e gruppi religiosi in Cina sono aumentate da quando Xi Jinping è salito al potere nel 2013. Sotto la sua presidenza, il Pcc ha adottato dure politiche volte a intensificare la repressione delle religioni». Nel 2018, infatti, il Partito comunista cinese ha approvato nuove norme sugli affari religiosi, rafforzando il controllo sulle organizzazioni religiose e perseguendo il clero e i laici impegnati in attività considerate illegali e non autorizzate. Tutto questo viene giustificato nell’ottica della “politica di sinicizzazione” delle religioni, un'ideologia che, col pretesto di valorizzare identità e tradizioni cinesi, di fatto mira a imporre regole rigide alle realtà religiose cinesi secondo i valori-chiave del Partito comunista. Un processo bollato, nell’estate del 2018 da padre Bernardo Cervellera, allora direttore dell’agenzia AsiaNews, come «una nuova prigione per la Chiesa in Cina».
I due fatti che abbiamo riferito non possono che allarmare chi, specie all’interno della Chiesa cattolica, ha a cuore il dialogo con la Cina. E confermano quanto scriveva il 2 settembre 2021 un esperto sinologo quale padre Gianni Criveller del Pime, commentando la frase di Papa Francesco «quello della Cina non è un terreno facile». Tale espressione di Bergoglio, scriveva Criveller su AsiaNews, «sembra essere un’amissione rispetto a parole del passato che sottolineavano solo la grandezza della civiltà cinese. Ancora più significativa l’affermazione per cui “si può essere ingannati nel dialogo, si possono compiere degli errori”. Il fatto che il Papa stesso ammetta questa possibilità mostra che egli ha presente la situazione sul campo. Ha preso nota delle tante voci preoccupate che in questi anni si sono levate dalla Cina e da chi segue la vicenda delle comunità cattoliche di quel Paese».