A Ndosho, uno dei grandi, difficili quartieri di periferia di Goma - nell'Est della Repubblica democratica del Congo - la casa delle Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria di Parma è un piccolo paradiso immerso in un bellissimo giardino pieno di fiori. All'ingresso, la prima cosa che colpisce la vista è un grande striscione colorato con la scritta "Karibu", benvenuti. Suor Rosina Rocci, 80 anni e un sorriso meraviglioso, dà il suo benvenuto con un buon caffè preparato con la moka e gli ottimi biscotti fatti da lei. «Qui a Goma siamo quattro consorelle, io sono l'unica italiana, le altre tre sono congolesi », spiega. La residenza delle Piccole Figlie è accanto alla parrocchia di San Francesco Saverio e alla missione dei padri saveriani. Un'area dominata da insicurezza, violenza, criminalità, dove uscire da soli, anche di giorno, è rischioso. E di notte il sonno è spesso interrotto dal rumore degli spari, negli scontri tra polizia e malviventi. Il conflitto armato nel Nord Kivu ha certamente peggiorato la situazione, ma la delinquenza di strada spesso ha a che fare con questioni locali, di quartiere, e regolamenti di conti.
«Sono arrivata in missione in Repubblica democatica del Congo nel 1981, 43 anni fa, subito dopo che le Piccole Figlie hanno cominciato la missione in questo Paese», ricorda suor Rosina, che è di origine abruzzese ma ha trascrso tanti anni a Parma. «Prima eravamo già in America latina, ma io ho sempre avuto una particolare attrazione per l'Africa, pensavo che qui avrei vissuto molto di più il mio essere missionaria». In Italia suor Rosina è diventata infermiera. Ho poi studiato Medicina tropicale in Belgio.
La sua prima destinazione: Fizi, nel Sud Kivu, dove è rimasta per quasi 15 anni. «Quando nel 1996 è scoppiata la prima guerra del Congo (che ha messo fine al regime del generale Mobutu), lei e le consorelle suore si trovavano a Uvira, sul lago Tanganika, quasi al confine con il Burundi ed è stato loro detto di non ritornare a Fizi perché lì era arrivato il conflitto armato. «A Uvira sono rimasta altri vent'anni, poi per tre anni a Bukavu, sempre nel Sud Kivu. Infine nel 2020 sono arrivata a Goma. A Fizi dirigevo con una consorella l'Ospedale statale, che era stato dato in gestione alla diocesi. Inoltre lavoravo in sala operatoria al fianco del medico chirurgo. Uno dei miei compiti era anche occuparmi del lebbrosario di Busimba, un vero e proprio villaggio dove vivevano i vecchi lebbrosi - cioè quelli che avevano contratto la malattia molto tempo prima - insieme alle loro famiglie, isolati dal resto del mondo, con le loro scuole per i bambini e la chiesa per la celebrazione della messa. Con l'avanzamento delle cure, già allora i lebbrosi di contagio recente non venivano più costretti all'isolamento, allontanati dal resto del mondo: grazie ai nuovi farmaci i malati venivano subito trattati e dopo una settimana potevano tornare presso le loro case, dalle loro famiglie, perché non erano più contagiosi. Una volta al mese io raggiungevo i lebbrosi del villaggio di Busimba: portavo loro medicine, farmaci palliativi, curavo le loro ferite».
Anche a Uvira suor Rosina ha continuato a occuparsi della lebbra, ma lì non c'era un lebbrosario come Busimba. «A Goma per due anni ho insegnato nella nostra scuola "Anna Micheli" che si occupa di recupero dei bambini di strada e degli orfani. Insegnavo la conoscenza del corpo, mettendo in pratica la mia esperienza di infermiera. Poi ho insegnato religione. Adesso tengo incontri di formazione alla cura della vita con il gruppo delle mamme che seguono i corsi di alfabetizzazione. Insegno a queste donne come fare prevenzione delle malattie, come rispettare le buone pratiche igieniche, come trattare la malaria e le varie infezioni. Le sensibilizzo sulle questioni ginecologiche, di cui sanno molto poco. Molte di loro mi chiedono di spiegare come pianificare le gravidanze come metodi naturali, in particolare il metodo Billings. Tanti anni fa al Gemelli di Roma ho seguito per tre anni degli studi sulla fertilità e mi sono sempre occupata delle coppie sterili». Qui, quando una donna non riesce ad avere figli - spiega suori Rosina - è vittima di discriminazione e viene trattata come una schiava dal marito e dalla famiglia, come se non avere figli fosse una colpa o una vergogna. «Ma spesso, facendo delle analisi, veniva fuori che il problema era legato alla fertilità dell'uomo. Ho aiutato molte donne a restare incinte».
Il pensiero di suor Rosina va a Luca Attanasio, l'ambasciatore italiano ucciso il 22 febbraio del 2021 in un agguato vicino a Goma, presso il villaggio di Kibumba, mentre viaggiava con un convoglio del Programma alimentare mondiale in direzione di Rutshuru. Insieme a lui sono rimasti uccisi anche il carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci e l'autista Mustapha Milambo. «La sera prima della sua morte, Attanasio era a Goma e aveva radunato tutti noi italiani della città ad una cena all'hotel Mediterranée. Aveva parlato con ognuno di noi, perché lui si interessava a tutti e se capiva che c'era un bisogno si dava da fare per risolvere il problema. Il giorno dopo, quando ho saputo dell'uccisione, sono scoppiata in lacrime, non potevo crederci. E' stata una perdita terribile. Da quando io sono in Congo, penso che sia stato l'ambaciatore che più di tutti si è occupato della parte orientale del Paese. Veniva in visita regolarmente ogni anno, nel Nord e nel Sud Kivu. Quando viaggiava a Bukavu andava sempre dai padri saveriani». Suor Rosina ricorda ancora, commossa: «Luca era un uomo di fede, ricco di umanità, sensibile, attento prima di tutto agli altri, ai più poveri. Ci teneva a tenersi informato su tutti noi italiani. Quando è scoppiata la pandemia del Covid lui è riuscito a organizzare un volo per il rimpatrio dei connazionali che volevano tornare a casa».
E aggiunge: «La sera prima della sua morte, quando eravamo alla cena, Luca ci ha detto che alcuni mesi dopo la sua missione a Kinshasa sarebbe terminata e non sapeva se gliel'avrebbero rinnovata. Quando l'ho salutato, prima di andare via, io mi sono avvicinata e gli ho detto: "Ambasciatore, spero tanto che lei resti qui". Lui mi ha sorriso e mi ha mandato un bacio con la mano. Ecco, quello è l'ultimo ricordo che mi resta di Luca».
(Nella foto, suor Rosina Rocci, 80 anni)