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lunedì 17 marzo 2025
 
 

Dossier tasse: io pago, tu paghi, lui...

01/01/2013  Le tasse come le paghiamo noi italiani e come le pagano i cittadini di altri Paesi. Il difficile equilibrio tra equità, giusta misura ed esigenze collettive.

Obama trova l’accordo la notte di San Silvestro, Hollande discute con Depardieu e la Corte Suprema. Il 2013 sarà un anno fondamentale per le scelte in ambito fiscale in tutto il mondo. Negli Stati Uniti e in Francia la polemica è infuriata in queste settimane, in Italia e Germania la questione caratterizzerà il dibattito elettorale dei prossimi mesi. La questione è seria e particolarmente complessa, ma non può essere delegata in modo cieco a qualche "tecnico", è una delle fondamentali questioni che riguardano le nostre comunità.


Possiamo permetterci un Welfare come quello cui siamo abituati, con strumenti per intervenire in favore di chi è in difficoltà? Possiamo continuare a garantire l’accesso a servizi fondamentali come la scuola, la sanità e la previdenza sociale per tutti i membri della nostra comunità? Sì, naturalmente, a condizione di dividere su tutti lo sforzo per finanziarlo.  Farlo in modo equo ed efficiente permette di uscire dalla crisi e prevenire nuove crisi. Soluzioni non equilibrate lasciano spazio a pesanti vulnerabilità per tutti.

Il nodo però è intendersi proprio sulle parole equo ed efficiente. Negli Stati Uniti il Congresso ha votato la notte dell’ultimo dell’anno l’accordo che potrebbe permettere di evitare il fiscal cliff.  Senza una intesa sarebbero entrate in vigore automaticamente disposizioni che prevedevano gravi tagli nella spesa pubblica e aumenti vigorosi del prelievo fiscale, in misura più moderata per i lavoratori e in forma più pesante per la fascia più ricca di popolazione. La trattativa è stata estenuante: da un lato i democratici volevano evitare il taglio delle spese sociali, dall’altro i repubblicani cercavano di ridurre l’aggravio di tasse sui più ricchi. L’accordo è stato raggiunto in extremis e come tutti i compromessi lascia insoddisfatti molti.

In Francia in modo analogo si sta discutendo dell’aliquota del 75% introdotta dal Governo  per i redditi superiori a un milione di euro. Alcuni contribuenti particolarmente noti, come l’attore Gerard Depardieu, hanno deciso di trasferire la propria residenza in Belgio per sottrarsi a quel carico fiscale e il dibattito si è fatto vivacissimo. La questione del finanziamento delle spese che la comunità deve sostenere, cioè della spesa pubblica, è oggi centrale in tutte le nazioni, tanto più in tempo di crisi, quando un prelievo inadeguato può comportare il rischio di enfatizzare la crisi anziché superarla.

Due attenzioni sembrano essere prioritarie in questo momento, l’equità e la relazione tra efficacia ed efficienza nel creare stimoli che permettano di superare la crisi economica.  In merito alla prima rimane insuperato il principio che richiede a a ciascuno secondo le sue possibilità e dà a ciascuno secondo i suoi bisogni. Per questo i sistemi fiscali si sono oggi orientati verso la progressività dell’imposizione, con una esenzione totale per i redditi più bassi. Le spese fondamentali per garantire il minimo di una sopravvivenza dignitosa sono comuni a tutti. Man mano che il reddito cresce oltre quel minimo è più facile  mettere a disposizione della comunità una parte delle proprie risorse. L’accesso ai servizi come scuola e salute viceversa viene garantito per il solo fatto di essere una persona, non è  fornito in ragione del pagamento di una prestazione.

Per quanto riguarda l’impatto sulla crisi, i sostenitori delle posizioni più liberiste ripetono che le tasse riducono il reddito disponibile delle persone e impediscono così all’economia di riprendersi: persone e imprese spendono meno e conseguentemente suscitano meno lavoro per produrre i beni e si servizi domandati. Non va dimenticato però che proprio in tempo di crisi uno stato sociale consistente è in grado di operare trasferimenti di reddito che si traducono in stimoli espansivi e lavoro: gli interventi di sostegno al reddito per chi perde il lavoro, ad esempio, garantiscono alle famiglie una capacità di spesa che si trasforma in domanda e suscita lavoro. Cosi pure gli investimenti pubblici che migliorano le caratteristiche del territorio. Una strada o un impianto di abbattimento e riciclo dei rifiuti generano un beneficio generale (ad esempio per l’ambiente e la qualità della vita), migliorano l’efficienza delle imprese  (trasporti veloci e rifiuti gestibili) e creano lavoro per realizzarli. Quello fiscale, come molti altri,  è il classico  ambito nel quale diffidare di chi si presenta con le verità tutta bianca o tutta nera in tasca.

Ma che fanno gli altri Paesi?  Un confronto è piuttosto difficile perché i sistemi di prelievo fiscale sono molto articolati. E non differiscono solo gli strumenti e criteri di prelievo ma anche il complesso dei servizi erogati.  Diversa è la raccolta fiscale, diversa è la spesa finanziata. Come si può vedere dalle tabelle, per i principali partner economici e politici del nostro Paese le modalità di raccolta fiscale variano in modo anche piuttosto consistente.

 

 

ITALIA

 

FRANCIA

 

 

 

 

Reddito delle persone fisiche

Aliquota marginale

Reddito delle persone fisiche

Aliquota marginale

Euro

 

Euro

 

Fino a  4.800 (lav autonomo) 8.000 (lav dipendente)

0

Fino a  6.000

0

Fino a 15000

23

6.001 – 12.000

5,5

15.001 – 28.000

27

12.001 – 26.000

14

28.001 – 55.000

38

26.001 – 70.000

30

55.001 – 75.000

41

70.001 – 150.000

41

Oltre i 75.000

43

150.001 – 1.000.000

45

 

 

Oltre 1.000.000

75

 

 

 

 

Reddito delle imprese

Aliquota fissa

Reddito delle imprese

Aliquota fissa

Sul reddito d’impresa

27,5

Fino a 38.000 euro

15

 

 

Reddito maggiore di 38.000 oppure fatturato maggiore di  763.000

33,3

 

 

 

 

IVA

21

IVA

19,6



 

 

GERMANIA

 

GIAPPONE

 

 

 

 

Reddito delle persone fisiche

Aliquota marginale

Reddito delle persone fisiche

Aliquota marginale

Euro

 

Euro

 

Fino a 8.000 

0

Fino a  17.000

5

8.001 – 53.000 progressione lineare

14 – 42

17.001 – 30.000

10

53.001 – 250.000

42

30.001 – 60.000

20

Oltre i 250.000

45

60.001 – 80.000

23

 

 

80.001 – 160.000

33

 

 

Oltre 160.000

40

 

 

 

 

 

 

 

 

Reddito delle imprese

Aliquota fissa

Reddito delle imprese

Aliquota fissa

Sul reddito d’impresa

15,8

Sul reddito d’impresa

25,5

 

 

Se capitale minore di 900.000 euro e reddito minore di 70.000 euro

18

 

 

 

 

IVA

19

IVA

5

 

 

Previsto aumento al 10% nel 2015

 

 

 

 

 

GRAN BRETAGNA

 

STATI UNITI

 

 

 

 

Reddito delle persone fisiche

Aliquota marginale

Reddito delle persone fisiche

Aliquota marginale

Euro

 

Euro

 

Fino a 9.190

0

Fino a  4.300

0

Fino a 43.000

20

Fino a 6.600

10

43.001 – 184.000

40

6.600 – 25.000

15

Oltre 184.000

50

25.001 – 63.000

25

 

 

63.001 – 132.000

28

 

 

132.001 - 287.000

33

 

 

Oltre 287.000

35

 

 

 

 

Reddito delle imprese

Aliquota fissa

Reddito delle imprese

Aliquota marginale

Sul reddito d’impresa

24

Fino a 37.000

15

 

 

37.000 – 56.000

25

 

 

56.001 – 75.000

34

 

 

75.001 – 253.000

39

 

 

253.001 – 7.550.000

34

 

 

7.550.001 – 11.300.000

35

 

 

11.300.001 – 13.900.000

38

 

 

Oltre 13.900.000

35

 

 

 

 

IVA

20

IVA

2,7 – 8,5

 

 

Applicata autonomamente dagli Stati

 

 

 

Il meccanismo delle aliquote marginali indica la percentuale che viene applicata alla parte di reddito eccedente lo scaglione precedente.  Nel caso degli Stati Uniti ad esempio, fino a 6.600 euro di reddito l’imposta è del 10% percento e matura 660 euro da pagare salvo le esenzioni; per ogni euro di reddito in più oltre i primi 6.600 si applica un’imposta del 15%.

I dati presentati vanno presi con cautela perché spesso sono frutto di arrotondamenti e non tengono conto in modo completo dei complessi meccanismi di detrazione che variano da paese a paese. Inoltre non abbiamo qui raccolto le diverse forme di imposta locale che in alcuni Paesi costituiscono una parte molto rilevante della raccolta fiscale. I dati permettono però di mettere in evidenza due considerazioni, che esponiamo nell'articolo successivo.

 

 

Da una prima lettura appare evidente la distanza degli Stati Uniti dagli altri grandi Paesi europei e dal Giappone. Per quanto negli Usa la tassazione sul reddito sia modulata in ragione della condizione familiare (gli scaglioni variano per capofamiglia, coniuge  o single), le aliquote sono nettamente più basse rispetto a quelle della media europea e dello stesso Giappone. Più oneroso il carico fiscale sul reddito di impresa e largamente inferiore quello per l’IVA.


Questi dati ci offrono il quadro di una società in cui il ruolo dello Stato è contenuto rispetto all’Europa, con una responsabilità della fascia ricca della popolazione largamente inferiore a quella esercitata in altri Paesi. Un cittadino americano che guadagni 150.000 euro sopporta una aliquota marginale del 28%, in Giappone sarebbe del 33%, in Italia del 43%, in Francia del 45%, nel Regno Unito del 40%. La differenza è ingente. Questa condizione è frutto delle agevolazioni fiscali nei confronti dei ricchi operati dall’Amministrazione Bush, proprio quelle che i repubblicani hanno cercato di salvaguardare e che Obama ha parzialmente ridotto con l’accordo sul fiscal cliff.  Un bilancio dello Stato più esile rispetto al valore complessivo dell’economia nazionale permette qualche flessibilità in più quando c’è crisi. Per questo l’Amministrazione Obama è parsa in questi anni più capace di offrire stimoli espansivi all’economia Usa con un uso attivo degli strumenti di spesa, come è avvenuto ad esempio nel settore automobilistico.  

Va detto però che a questa dimensione più contenuta dello stato corrisponde un ruolo minore dal punto di vista sociale e della tutela delle persone. Gli Usa ci sono apparsi più bravi economicamente, ma si tratta di una immagine superficiale.  Se i numeri aggregati hanno mostrato una ripresa che l’Europa fatica a creare, in Europa stati più robusti hanno garantito tutele sociali molto maggiori. Negli Usa la crisi ha aumentato i fenomeni di marginalizzazione e di povertà urbana che in Europa sono di fatto sconosciuti in questa misura.  Uno stato sociale robusto, che ovviamente costa e che in tempo di crisi  (quando il prelievo fiscale automaticamente diminuisce) si finanzia aumentando il debito, ha permesso una molto più consistente tutela della dignità della vita umana, dal garantire cure e scuola al provvedere casa e sostegni nella mobilità lavorativa.  

In un tempo in cui l’Europa si descrive in crisi, dovremmo essere più orgogliosi di questa capacità. Basterebbe parlare di chi si occupa di relief e volontariato negli States e in Europa per rendersi conto di come fasce consistenti della società Usa sono tornate in condizioni di povertà e disagio, in una dinamica molto più grave di quella europea, che i numeri aggregati non descrivono.

 

L’Italia


La seconda considerazione riguarda il nostro Paese.  Pur con le cautele che abbiamo raccomandato nel raffrontare dati diversi, appare comunque evidente uno squilibrio italiano nella distribuzione delle aliquote rispetto a tutti gli altri Paesi.  Un italiano  con un reddito di 25.000 euro, non certo un nababbo, affronta una aliquota marginale del 28%; con un reddito di 30.000 l’aliquota marginale passa a 38%.   

 

In Francia le due aliquote sarebbero 14 e 30, rispettivamente 14 (la metà!) e 8 punti in meno. In Gran Bretagna in entrambi i casi l’aliquota sarebbe del 20%. Dall’altra parte non si può dire che i contribuenti più abbienti sopportino uno sforzo superiore a quello richiesto in altri Paesi.  L’aliquota massima è del 43 senza più alcuna progressività oltre i 75.000 euro (e stiamo parlando di reddito imponibile, cioè poco meno del reddito lordo, una cifra quasi doppia del netto che un dipendente riceve in busta paga).   Il criterio della progressività - inserito esplicitamente nella nostra Costituzione per garantire equità nel prelievo - è del tutto disatteso al di sopra di un livello di reddito che certo garantisce benessere, ma è molto lontano dalle remunerazioni di buona parte della classe dirigente del Paese.

Il diverso contributo relativo alla contribuzione fiscale delle diverse fasce sta enfatizzando fenomeni preoccupanti dal punto di vista del disegno sociale del Paese. Le famiglie normali, tanto più se numerose, fanno maggiori fatiche rispetto al passato. L’occupazione giovanile non decolla e gli over 45 che perdono il lavoro rischiano di non trovarlo più, spiazzati proprio dai giovani che si accontentano di redditi minori perché non devono mantenere figli. La scelta di mettere al mondo bambini si rinvia in attesa di stabilità. 

L’Italia rimane il Paese con il maggior tasso di risparmio, ma se una volta erano le famiglie in generale a risparmiare, ora sono solo gli anziani abbienti, che spesso prestano ai propri figli. Poche famiglie con i genitori under 50 sono in grado di comperare casa. Se devono farlo usano prestiti dei genitori, dei nonni. Ma non sono rari i casi di risparmi degli anziani usati  ogni mese a sostegno del reddito dei figli per le spese di consumo.  

In tutto questo quadro aumenta, e tanto, il fatturato del lusso. Non sono solo vendite ai nuovi ricchi stranieri, sono vendite in Italia. E ancora, se si guarda al livello medio delle retribuzioni e dei redditi, la distanza tra la fascia più ricca e quella più povera, dopo essersi ridotta dal dopoguerra agli anni Ottanta, si è allargata creando una vera forbice che aumenta sempre di più negli ultimi venti anni, con un incremento ancora maggiore negli ultimi 5 anni. C’è un popolo, numeroso, di donne e uomini che fanno fatica, e un’elite che gode di condizioni economiche sempre migliori. E’ questa l’Italia che vogliamo?

 

 

Il passaggio elettorale si avvicina, con prevedibili e comprensibili slogan e partigianerie. Ci si augura che si ponga attenzione adeguata alla questione fiscale che è in questo momento cruciale. Possiamo migliorare l’efficienza della spesa, ma non possiamo ridurre ancora i servizi che in molti casi rischiano di scendere sotto i livelli minimi accettabili. Per fare solo un esempio, piccolo e colorito, tutti i genitori sanno che i nostri figli devono incredibilmente portarsi da casa la carta igienica per la scuola!


Accanto ad una revisione intelligente della spesa occorre anche affrontare la questione della corresponsabilità fiscale. Priorità alla lotta all’evasione certo, ma anche riequilibrio dei pesi.  Non si tratta di aumentare le tasse, ma di graduarle meglio nel tempo in modo da alleggerire l’onere sulle fasce più povere e sul ceto medio – che con la propria domanda sono il vero traino dell’economia -  e chiedere uno sforzo maggiore a chi ne ha le capacità.

Occorre declinare questa attenzione collocandola nel contesto internazionale.  Non possiamo difendere diritti acquisiti per noi sapendo che poco lontano da noi fame e malattia sono esperienza quotidiana, e la questione della corresponsabilità fiscale è strettamente legata con la tutela dei diritti fondamentali. Occorre dunque una riflessione esigente su come realizzare una corresponsabilità internazionale  anche finanziaria capace di estendere la tutela dei diritti. Per farlo però è necessario dimostrare di vivere la dimensione della corresponsabilità con coerenza all’interno del proprio Paese.

In Italia negli ultimi anni la richiesta di riduzione delle tasse si è sviluppata come un mantra ripetuto ossessivamente – spiace dirlo – soprattutto da chi nel Paese vive una condizione economica più agiata. E questo mantra portava a descrivere lo Stato come un Leviatano che attenta alla libertà e alla vita dei cittadini.  Occorre un lavoro educativo che ci riporti a pensare che il pagamento delle tasse - la corresponsabilità fiscale - è uno dei primi atti che creano la comunità. Il compianto ministro Tomaso Padoa Schioppa aveva dichiarato qualche anno fa che pagare le tasse è bello e molti avevano ironizzato pesantemente sulla sua frase.   Dovremo invece riprendere il senso di quell’affermazione.   

Perché i padri costituenti hanno vietato i referendum abrogativi in materia fiscale?  Non perché gli italiani avrebbero immediatamente votato per abolire le tasse, ma perché il vincolo fiscale è costitutivo della comunità. Un uomo e una donna diventano famiglia quando decidono pubblicamente di mettere in comune le loro vite. E le loro risorse, redditi e patrimonio. I figli che nascono da quella scelta portano il nome di quella famiglia. La nostra identità di figli e di persone è fondata su quella scelta.  

Anche come cittadini, la scelta della corresponsabilità fiscale è fondativa della nostra comunità e della nostra identità. Siamo veramente italiani quando paghiamo le tasse, molto più che quando segna la nazionale. Sottrarsi alla corresponsabilità fiscale significa rubare ai più poveri.  I ricchi possono comunque permettersi servizi privati a pagamento, i poveri no.

Con la crisi che continua, vorremmo questa attenzione centrale nel dibattito elettorale e nell’azione del prossimo Governo. Ricreare le condizioni per una unità del Paese in cui non ci sono nemici da allontanare, ma una comunità che vuole camminare insieme, creando una corresponsabilità fiscale comune, che nel dialogo, con determinazione e gradualità, riequilibri i pesi alleggerendo quello sui meno abbienti e coinvolgendo chi ha di più, è un percorso possibile che non solo diventa stimolo efficiente per l’economia, ma ricrea un’idea moderna di unità nazionale. Una unità che non è fatta di rivalità e condanne all’untore, ma di sinergie, laboriosità  e fiducia.

 

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