Ma che fanno gli altri Paesi? Un confronto è piuttosto difficile perché i sistemi di prelievo fiscale sono molto articolati. E non differiscono solo gli strumenti e criteri di prelievo ma anche il complesso dei servizi erogati. Diversa è la raccolta fiscale, diversa è la spesa finanziata. Come si può vedere dalle tabelle, per i principali partner economici e politici del nostro Paese le modalità di raccolta fiscale variano in modo anche piuttosto consistente.
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| ITALIA
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| FRANCIA
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| Reddito delle persone fisiche
| Aliquota marginale
| Reddito delle persone fisiche
| Aliquota marginale
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| Euro
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| Euro
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| Fino a 4.800 (lav autonomo) 8.000 (lav dipendente)
| 0
| Fino a 6.000
| 0
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| Fino a 15000
| 23
| 6.001 – 12.000
| 5,5
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| 15.001 – 28.000
| 27
| 12.001 – 26.000
| 14
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| 28.001 – 55.000
| 38
| 26.001 – 70.000
| 30
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| 55.001 – 75.000
| 41
| 70.001 – 150.000
| 41
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| Oltre i 75.000
| 43
| 150.001 – 1.000.000
| 45
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| Oltre 1.000.000
| 75
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| Reddito delle imprese
| Aliquota fissa
| Reddito delle imprese
| Aliquota fissa
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| Sul reddito d’impresa
| 27,5
| Fino a 38.000 euro
| 15
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| Reddito maggiore di 38.000 oppure fatturato maggiore di 763.000
| 33,3
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| IVA
| 21
| IVA
| 19,6
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| GERMANIA
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| GIAPPONE
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| Reddito delle persone fisiche
| Aliquota marginale
| Reddito delle persone fisiche
| Aliquota marginale
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| Euro
|
| Euro
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| Fino a 8.000
| 0
| Fino a 17.000
| 5
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| 8.001 – 53.000 progressione lineare
| 14 – 42
| 17.001 – 30.000
| 10
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| 53.001 – 250.000
| 42
| 30.001 – 60.000
| 20
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| Oltre i 250.000
| 45
| 60.001 – 80.000
| 23
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| 80.001 – 160.000
| 33
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| Oltre 160.000
| 40
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| Reddito delle imprese
| Aliquota fissa
| Reddito delle imprese
| Aliquota fissa
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| Sul reddito d’impresa
| 15,8
| Sul reddito d’impresa
| 25,5
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| Se capitale minore di 900.000 euro e reddito minore di 70.000 euro
| 18
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| IVA
| 19
| IVA
| 5
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| Previsto aumento al 10% nel 2015
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| GRAN BRETAGNA
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| STATI UNITI
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| Reddito delle persone fisiche
| Aliquota marginale
| Reddito delle persone fisiche
| Aliquota marginale
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| Euro
|
| Euro
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| Fino a 9.190
| 0
| Fino a 4.300
| 0
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| Fino a 43.000
| 20
| Fino a 6.600
| 10
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| 43.001 – 184.000
| 40
| 6.600 – 25.000
| 15
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| Oltre 184.000
| 50
| 25.001 – 63.000
| 25
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| 63.001 – 132.000
| 28
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| 132.001 - 287.000
| 33
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| Oltre 287.000
| 35
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| Reddito delle imprese
| Aliquota fissa
| Reddito delle imprese
| Aliquota marginale
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| Sul reddito d’impresa
| 24
| Fino a 37.000
| 15
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| 37.000 – 56.000
| 25
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| 56.001 – 75.000
| 34
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| 75.001 – 253.000
| 39
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| 253.001 – 7.550.000
| 34
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| 7.550.001 – 11.300.000
| 35
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| 11.300.001 – 13.900.000
| 38
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| Oltre 13.900.000
| 35
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| IVA
| 20
| IVA
| 2,7 – 8,5
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| Applicata autonomamente dagli Stati
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Il meccanismo delle aliquote marginali indica la percentuale che viene applicata alla parte di reddito eccedente lo scaglione precedente. Nel caso degli Stati Uniti ad esempio, fino a 6.600 euro di reddito l’imposta è del 10% percento e matura 660 euro da pagare salvo le esenzioni; per ogni euro di reddito in più oltre i primi 6.600 si applica un’imposta del 15%.
I dati presentati vanno presi con cautela perché spesso sono frutto di arrotondamenti e non tengono conto in modo completo dei complessi meccanismi di detrazione che variano da paese a paese. Inoltre non abbiamo qui raccolto le diverse forme di imposta locale che in alcuni Paesi costituiscono una parte molto rilevante della raccolta fiscale. I dati permettono però di mettere in evidenza due considerazioni, che esponiamo nell'articolo successivo.
Da una prima lettura appare evidente la distanza degli Stati Uniti dagli altri grandi Paesi europei e dal Giappone. Per quanto negli Usa la tassazione sul reddito sia modulata in ragione della condizione familiare (gli scaglioni variano per capofamiglia, coniuge o single), le aliquote sono nettamente più basse rispetto a quelle della media europea e dello stesso Giappone. Più oneroso il carico fiscale sul reddito di impresa e largamente inferiore quello per l’IVA.
Va detto però che a questa dimensione più contenuta dello stato corrisponde un ruolo minore dal punto di vista sociale e della tutela delle persone. Gli Usa ci sono apparsi più bravi economicamente, ma si tratta di una immagine superficiale. Se i numeri aggregati hanno mostrato una ripresa che l’Europa fatica a creare, in Europa stati più robusti hanno garantito tutele sociali molto maggiori. Negli Usa la crisi ha aumentato i fenomeni di marginalizzazione e di povertà urbana che in Europa sono di fatto sconosciuti in questa misura. Uno stato sociale robusto, che ovviamente costa e che in tempo di crisi (quando il prelievo fiscale automaticamente diminuisce) si finanzia aumentando il debito, ha permesso una molto più consistente tutela della dignità della vita umana, dal garantire cure e scuola al provvedere casa e sostegni nella mobilità lavorativa.
In un tempo in cui l’Europa si descrive in crisi, dovremmo essere più orgogliosi di questa capacità. Basterebbe parlare di chi si occupa di relief e volontariato negli States e in Europa per rendersi conto di come fasce consistenti della società Usa sono tornate in condizioni di povertà e disagio, in una dinamica molto più grave di quella europea, che i numeri aggregati non descrivono.
L’Italia
La seconda considerazione riguarda il nostro Paese. Pur con le cautele che abbiamo raccomandato nel raffrontare dati diversi, appare comunque evidente uno squilibrio italiano nella distribuzione delle aliquote rispetto a tutti gli altri Paesi. Un italiano con un reddito di 25.000 euro, non certo un nababbo, affronta una aliquota marginale del 28%; con un reddito di 30.000 l’aliquota marginale passa a 38%.
In Francia le due aliquote sarebbero 14 e 30, rispettivamente 14 (la metà!) e 8 punti in meno. In Gran Bretagna in entrambi i casi l’aliquota sarebbe del 20%. Dall’altra parte non si può dire che i contribuenti più abbienti sopportino uno sforzo superiore a quello richiesto in altri Paesi. L’aliquota massima è del 43 senza più alcuna progressività oltre i 75.000 euro (e stiamo parlando di reddito imponibile, cioè poco meno del reddito lordo, una cifra quasi doppia del netto che un dipendente riceve in busta paga). Il criterio della progressività - inserito esplicitamente nella nostra Costituzione per garantire equità nel prelievo - è del tutto disatteso al di sopra di un livello di reddito che certo garantisce benessere, ma è molto lontano dalle remunerazioni di buona parte della classe dirigente del Paese.
Il diverso contributo relativo alla contribuzione fiscale delle diverse fasce sta enfatizzando fenomeni preoccupanti dal punto di vista del disegno sociale del Paese. Le famiglie normali, tanto più se numerose, fanno maggiori fatiche rispetto al passato. L’occupazione giovanile non decolla e gli over 45 che perdono il lavoro rischiano di non trovarlo più, spiazzati proprio dai giovani che si accontentano di redditi minori perché non devono mantenere figli. La scelta di mettere al mondo bambini si rinvia in attesa di stabilità.
L’Italia rimane il Paese con il maggior tasso di risparmio, ma se una volta erano le famiglie in generale a risparmiare, ora sono solo gli anziani abbienti, che spesso prestano ai propri figli. Poche famiglie con i genitori under 50 sono in grado di comperare casa. Se devono farlo usano prestiti dei genitori, dei nonni. Ma non sono rari i casi di risparmi degli anziani usati ogni mese a sostegno del reddito dei figli per le spese di consumo.
In tutto questo quadro aumenta, e tanto, il fatturato del lusso. Non sono solo vendite ai nuovi ricchi stranieri, sono vendite in Italia. E ancora, se si guarda al livello medio delle retribuzioni e dei redditi, la distanza tra la fascia più ricca e quella più povera, dopo essersi ridotta dal dopoguerra agli anni Ottanta, si è allargata creando una vera forbice che aumenta sempre di più negli ultimi venti anni, con un incremento ancora maggiore negli ultimi 5 anni. C’è un popolo, numeroso, di donne e uomini che fanno fatica, e un’elite che gode di condizioni economiche sempre migliori. E’ questa l’Italia che vogliamo?
Il passaggio elettorale si avvicina, con prevedibili e comprensibili slogan e partigianerie. Ci si augura che si ponga attenzione adeguata alla questione fiscale che è in questo momento cruciale. Possiamo migliorare l’efficienza della spesa, ma non possiamo ridurre ancora i servizi che in molti casi rischiano di scendere sotto i livelli minimi accettabili. Per fare solo un esempio, piccolo e colorito, tutti i genitori sanno che i nostri figli devono incredibilmente portarsi da casa la carta igienica per la scuola!
Occorre declinare questa attenzione collocandola nel contesto internazionale. Non possiamo difendere diritti acquisiti per noi sapendo che poco lontano da noi fame e malattia sono esperienza quotidiana, e la questione della corresponsabilità fiscale è strettamente legata con la tutela dei diritti fondamentali. Occorre dunque una riflessione esigente su come realizzare una corresponsabilità internazionale anche finanziaria capace di estendere la tutela dei diritti. Per farlo però è necessario dimostrare di vivere la dimensione della corresponsabilità con coerenza all’interno del proprio Paese.
In Italia negli ultimi anni la richiesta di riduzione delle tasse si è sviluppata come un mantra ripetuto ossessivamente – spiace dirlo – soprattutto da chi nel Paese vive una condizione economica più agiata. E questo mantra portava a descrivere lo Stato come un Leviatano che attenta alla libertà e alla vita dei cittadini. Occorre un lavoro educativo che ci riporti a pensare che il pagamento delle tasse - la corresponsabilità fiscale - è uno dei primi atti che creano la comunità. Il compianto ministro Tomaso Padoa Schioppa aveva dichiarato qualche anno fa che pagare le tasse è bello e molti avevano ironizzato pesantemente sulla sua frase. Dovremo invece riprendere il senso di quell’affermazione.
Perché i padri costituenti hanno vietato i referendum abrogativi in materia fiscale? Non perché gli italiani avrebbero immediatamente votato per abolire le tasse, ma perché il vincolo fiscale è costitutivo della comunità. Un uomo e una donna diventano famiglia quando decidono pubblicamente di mettere in comune le loro vite. E le loro risorse, redditi e patrimonio. I figli che nascono da quella scelta portano il nome di quella famiglia. La nostra identità di figli e di persone è fondata su quella scelta.
Anche come cittadini, la scelta della corresponsabilità fiscale è fondativa della nostra comunità e della nostra identità. Siamo veramente italiani quando paghiamo le tasse, molto più che quando segna la nazionale. Sottrarsi alla corresponsabilità fiscale significa rubare ai più poveri. I ricchi possono comunque permettersi servizi privati a pagamento, i poveri no.
Con la crisi che continua, vorremmo questa attenzione centrale nel dibattito elettorale e nell’azione del prossimo Governo. Ricreare le condizioni per una unità del Paese in cui non ci sono nemici da allontanare, ma una comunità che vuole camminare insieme, creando una corresponsabilità fiscale comune, che nel dialogo, con determinazione e gradualità, riequilibri i pesi alleggerendo quello sui meno abbienti e coinvolgendo chi ha di più, è un percorso possibile che non solo diventa stimolo efficiente per l’economia, ma ricrea un’idea moderna di unità nazionale. Una unità che non è fatta di rivalità e condanne all’untore, ma di sinergie, laboriosità e fiducia.




