C’è qualcosa di antico, che profuma di gioventù e di sabati pomeriggi “speciali”, dietro The Voice Senior, l’ultimo progetto televisivo – da poco concluso – di Antonella Clerici. Qualcosa che ha riportato la conduttrice indietro nel tempo, agli anni in cui, ancora ventenne, si recava ogni fine settimana in una casa di riposo, per intrattenersi con gli anziani che vivevano lì. Il loro era un piacere condiviso: Clerici andava di sua iniziativa, da sola, per il semplice gusto di far trascorrere qualche ora di serenità ai suoi amici vecchietti. Perché alla fine erano diventati amici... «Proprio qui, all’ospizio, ho capito che volevo fare televisione e come volessi farla», confida Clerici. «La mia è una idea di tv che tiene compagnia alle persone». Così poi è stato: i programmi di Antonellina, da La prova del cuoco a È sempre mezzogiorno, sono al servizio dello spettatore, mai urlati e sempre all’insegna dell’intrattenimento quotidiano. A sua volta il talent show The Voice Senior ha voluto celebrare, intrattenendola, una delle categorie più penalizzate dal Covid, sia dal punto di vista medico che sociale: gli over 60. Lo show, infatti, è stato prima di tutto una festa, con loro e per loro.
A 20 anni si cerca il divertimento, le feste in discoteca, non certo le partite a burraco nelle residenze per anziani. Come è nato il suo rapporto speciale con questo luogo?
«Di solito le persone adorano i bambini, e anche io li amo tanto. Ma ho sempre avuto una grandissima e profonda tenerezza per gli anziani: a differenza dei più piccoli, non hanno tutta una vita davanti. Inoltre se guardiamo indietro nel tempo, sono sempre stati i depositari di una certa saggezza: coloro dai quali puoi ottenere un buon consiglio. Erano un punto di riferimento anche dal punto di vista sociale»
Avere a che fare con gli anziani vuol però dire guardare anche al tramonto della vita, con tutte le domande esistenziali che questo si porta dietro.
«Quando ero ragazza mi ponevo tantissime domande: mi interrogavo sul senso della vita, stimolata dai bellissimi autori che studiavamo al Liceo classico. Superati i 50 anni queste domande iniziano a mettere onestamente un po’ fifa perché sai che il tempo a tua disposizione è meno: basta prendere un metro e fermare il dito sul numero 50. Anche a colpo d’occhio vedi che l’arco è più breve: 30/40 anni, se va bene. Dunque meglio che io abbia vissuto il grosso del travaglio spirituale da giovane» (ride, ndr).
E quale idea si è fatta sulla morte?
«L’idea di lasciare questo mondo non mi fa paura perché sono convinta che ci sia qualcosa dopo. La morte è solo un altro volto della stessa vita: è un cerchio che si chiude e c’è un motivo se siamo qui. Sono credente e penso che ognuno di noi abbia una propria missione. Sarà per questo che non amo le funzioni funebri: dalla cassa da morto ai paramenti, è tutto così lugubre, mentre la morte è un fatto naturale. Personalmente vorrei essere cremata: mi piacerebbe che le ceneri venissero disperse vicino a uno degli alberi che abbiamo vicino casa».
Quando si è avvicinata alla fede?
«La mia famiglia è credente e io sono cresciuta in oratorio. I valori che ho imparato frequentando la parrocchia mi sono rimasti dentro guidandomi e influenzando le mie scelte di vita. Da ragazza ho fatto incontri meravigliosi e conosciuto realtà splendide come i Papa Boys: una gioventù che ha ancora degli ideali e li difende senza per questo infangare gli altri. Poi, lo devo ammettere, ho fatto anche incontri decisamente meno felici, sono sempre stato uno spirito libero, che non obbedisce alla cieca e non ama le etichette. Ad alcune persone non stava bene e mi hanno fatto terra bruciata… D’altronde la Chiesa è fatta di uomini: un aspetto che adoro, anche se ha le sue conseguenze. Gli errori comunque non sono l’ultima parola: il fatto stesso che papa Francesco sia stato eletto dai cardinali dimostra che c’è una parte della Chiesa ancora molto sana. Bergoglio è infatti un Papa assolutamente moderno, che non ha fatto solo una carriera ecclesiastica ma ha vissuto la strada e conosce i bisogni reali delle persone».
C’è una figura che l’ha conquistata in particolar modo?
«Ho sempre avuto un debole per i preti di campagna più che per i grandi nomi, anche se poi esistono le dovute eccezioni. Ultimamente ho conosciuto un sacerdote amico del mio compagno Vittorio: don Pierangelo Pietracatella. Era di questi luoghi, ora è diventato monsignore e vive a Roma. Ecco, lui mi piace perché ha la cultura dei grandi teologi (ed è destinato a fare grandi cose all’interno della Chiesa) ma l’animo del prete di paese. Un po’ come papa Francesco che non ha dimenticato le favelas, né le sue origini».
Qual è l’aspetto che maggiormente l’affascina del messaggio cristiano?
«L’altruismo, la generosità e la riconoscenza sono tre valori cristiani che mi stanno molto a cuore e che andrebbero recuperati, indipendentemente dal fatto di avere o meno fede. Oggi impera infatti l’egoismo. Gesù ci invitava ad amare il prossimo “come te stesso”. Ecco, forse “come te stesso” è un po’ troppo difficile ma basterebbe anche solo “amare il prossimo” per vedere rifiorire la nostra società. Inoltre sono molto devota alla Madonna: la sento vicina a noi comuni mortali. Prima o poi voglio andare a Lourdes: è un luogo che mi affascina anche se finora non ci sono mai stata. Stando infatti bene dal punto di vista fisico, mi è sempre sembrato inopportuno andare a chiedere una grazia in mezzo a persone malate che hanno, loro sì, bisogno di un miracolo... Trovo inoltre che l’Ave Maria sia la preghiera più bella di sempre. Prego spesso la Madonna e quando sono in difficoltà invoco anche l’aiuto di mia madre: le donne, quando si coalizzano tra di loro, sono fortissime» (ride, ndr).
Papa Francesco si è mobilitato anche per la difesa del creato: è una battaglia che condivide, visto che ha scelto di vivere nella campagna piemontese?
«Ha ragione il Papa: quando ti avvicini alla natura ti ricongiungi al Creato. Qui in campagna mi sento centrata. Anche mia figlia, da quando viviamo qui, è molto più serena e solare. In mezzo ai cavalli, alle mucche, è felice. Tra l’altro sono sempre stata una sostenitrice della provincia: per capire il Paese bisogna vivere in provincia. L’America non è New York, l’Italia non sono Roma o Milano ma i piccoli paesi. Ed è a questa parte della popolazione che io mi rivolgo, prima di tutto, quando faccio tv».