Non mi piace la parola proibire. Ha in sé il significato di un’imposizione, rigida, inderogabile, decisa dall’alto, magari incompresa. E sappiamo che il proibizionismo non è mai stato una buona opzione, ha scatenato la criminalità, la truffa, l’irrefrenabile smania di scardinare ogni regola, rischiando tanto, anche la vita. I giovani sono i primi a voler rompere ogni divieto, a farsi beffa delle regole, per poter crescere a loro volta, per acquisire personalità o più semplicemente, come ci dicono oggi le neuroscienze, perché non è ancora formata la corteccia prefrontale, predisposta alla facoltà/virtù della prudenza. Parrebbe inutile quindi imporre divieti a chi non può comprenderli e anzi farà di tutto per trasgredirli. Lo sperimentiamo tragicamente con le droghe, con l’alcolismo precoce, con un no limit spinto allo sprezzo di ogni pericolo. Sappiamo bene che solo l’educazione, paziente, riesce a scavare goccia dopo goccia nella pietra delle coscienze. E solo un educatore credibile, affascinante riesce a essere anche convincente.
Il ministro dell’Istruzione ha diramato una circolare che vietano l’ingresso in classe, fino alla secondaria inferiore (la terza media insomma) con il telefono cellulare. Ha ragione? Certamente sì. Servirà il provvedimento? Quasi sicuramente no. Ha ragione ugualmente a richiedere questa osservanza? Senz’altro.
Il telefonino in mano a un ragazzino, nelle ore in cui è chiamato, per il suo bene, ad ascoltare, imparare, confrontarsi, entrare in relazione con insegnanti e compagni, è deleterio. Il telefonino impone il controllo costante dei genitori e non è un bene. Ci sono spazi appositi per l’alleanza scuola-famiglia e avere madri apprensive che ti soffiano sul collo senza sosta non facilita l’autonomia. Il telefonino con troppi fasulli amici impedisce di cercare quelli veri al tuo fianco. Ti illude di carpire le nozioni necessarie per i compiti in classe, le interrogazioni e ti distilla informazioni superficiali, facili, spesso distorte. Il telefonino è uno schiaffo a maestri e professori che, sottopagati, in aule soffocanti, passano metà della loro giornata a spiegare e accrescere la tua personalità, arricchire il tuo futuro. È deprimente rivolgersi a una platea china sullo smartphone a intontirsi di video e decrittare messaggini. Un digiuno quotidiano di qualche ora non può che giovare al rapporto educativo. Che i ragazzi si annoino, talvolta, è un bene. Guardando dalla finestra si scoprono anfratti del cuore e sorgono domande. È sciocco rivendicare libertà: la libertà si conquista, ma soprattutto libertà non è fare quel che vuoi, ma seguire il bene per te. E quello strumento, utilissimo o pericoloso, indispensabile e invasivo, divertente e distraente, tocca imparare a usarlo e dosarlo. Proibirlo forse sarà un tentativo vano. Ma l’etimologia del verbo pro-habere significa “tener lontano”. Teniamolo un po’ lontano dai nostri figli e nipoti, saranno aiutati a capire che non è un braccio in più, né un succedaneo del loro cervello.