Cari amici lettori,
con l’intervista a Gemma Calabresi (servizio a pag. 16) prende il via in grande stile una serie di “Grandi interviste” che ci accompagneranno verso il Giubileo 2025 e il cui titolo, “Viandanti della speranza”, è ispirato al motto dell’Anno Santo, Peregrinantes in spem.
Il progetto che vi presentiamo va anche oltre la carta stampata: potrete ritrovare ciascuna delle interviste in versione video su Telenova, sull’app di Telenova e su Youtube (vedi box pag. 20). Sentiremo le voci di personaggi che provengono da diversi ambiti e che hanno differenti esperienze di vita: dal cardinale Gianfranco Ravasi al medico legale Cristina Cattaneo, dal fondatore della Fraternità di Romena don Luigi Verdi alla direttrice dei Musei vaticani Barbara Jatta… e tanti altri.
Come possiamo coltivare la speranza oggi, in tempi che ci appaiono così cupi, tra guerre, crisi climatica e altri disastri che affliggono l’umanità? E che “volto” ha, concretamente, la speranza? In chi e cosa possiamo sperare? Per rispondere a queste domande che – forse un po’ nascoste – pure albergano in noi, abbiamo bisogno di testimoni che “incarnino” la speranza, che siano segni di speranza e allo stesso tempo appelli di speranza per la nostra vita (cfr. Bolla di indizione del Giubileo, Spes non confundit). Il cristianesimo infatti non è una dottrina astratta, è la fede dell’incarnazione: ci aiuta, dunque, la speranza incarnata e testimoniata da uomini e donne di oggi. Persone magari provate dalla vita, che ne hanno conosciuto gli urti e le contraddizioni – e cominciamo non a caso con la vicenda “forte” di Gemma Calabresi, il cui marito fu ucciso durante gli Anni di piombo. Solo così la speranza – che è una “componente” della fede – ci appare possibile e anzi desiderabile.
Accanto alla parola “speranza” vorrei però sottolineare anche l’altra parola del motto del Giubileo: pellegrini. È una parola che è tornata familiare nel nostro tempo, in cui tanti intraprendono dei cammini, come per esempio quello di Santiago o la via Francigena. Cammini che dopo la crisi del Covid conoscono un nuovo, ulteriore boom. Perché? Probabilmente perché contribuiscono a riconnetterci con noi stessi, con i nostri desideri profondi, concentrandoci sull’essenziale e alleggerendoci di tanta zavorra. L’essere viandanti è, del resto, una dimensione costitutiva dell’essere cristiani: san Pietro chiama i cristiani «stranieri e pellegrini» (2,11). Non certo perché vivono fuori dal mondo, ma perché fondati in una speranza più alta, che in definitiva è Gesù Cristo. I cristiani sono uomini e donne animati dalla speranza, in cammino verso il Regno. E, per via, condividono le gioie e le speranze, così come le tristezze e le angosce degli uomini del proprio tempo (Gaudium et spes, n. 1). Non siamo una comunità statica, seduta, “perfetta”, ma parte di «questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» (Evangelii gaudium, n. 87). Insomma, un popolo in cammino. E a questo proposito, come non pensare anche al cammino sinodale voluto da papa Francesco, cammino che Dio si attende dalla Chiesa per il terzo millennio? Una forma di Chiesa che stiamo appena intravedendo e che ci sollecita a partecipare a questo grande pellegrinaggio sorretti dalla speranza, «con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese» (Luca 12,35).