La prevenzione e le attività di intelligence sono al momento le armi migliori per difenderci dalla minaccia terrorista. Ne è convinto il generale Leonardo Tricarico, uno dei maggiori esperti di questioni militari e di sicurezza del nostro Paese.
Trentino, 72 anni, già Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica dal 2004 al 2006, Tricarico è stato comandante delle forze aeree italiane partecipanti al conflitto in Serbia e Kosovo, quindi è stato consigliere militare a Palazzo Chigi con i governi D'Alema, Amato e Berlusconi. Oggi Tricarico è presidente della Fondazione Icsa, un centro di analisi sui temi della sicurezza, della difesa e dell'intelligence.
- Generale Tricarico, contro la minaccia dell'Isis può essere utile un intervento militare in Libia?
No. Ancora una volta lo strumento militare non sarebbe risolutivo e in questo momento non può essere un'alternativa alla politica estera. Ora più che mai l'intervento militare è l'ultima risposta.
- Quali sarebbero i rischi principali di un intervento armato?
Bisognerebbe capire che cosa colpire, su richiesta di chi, con quali modalità, con quali compagni di viaggio, con quali armi. Nel caos della Libia di oggi ci sono più dubbi che certezze. Serve invece una forte iniziativa diplomatica quotidiana a livello bilaterale e multilaterale. Anche con la Tunisia, dove la democrazia sta mettendo radici, serve una collaborazione costante sul piano diplomatico.
- Come ci si difende dal terrorismo che in questo inizio di 2015 ha già colpito Parigi, Copenhagen e Tunisi, senza contare gli attentati quasi quotidiani in Siria e in Iraq?
Con la prevenzione e l'intelligence. Non facciamoci illusioni sull'efficacia della protezione armata dei possibili obiettivi sensibili. Questa protezione può diminuire l'insicurezza percepita dal cittadino, ma non può essere una completa garanzia di sicurezza.
- Quindi, come prevenire?
Abbiamo visto che i terroristi protagonisti delle stragi di questi mesi hanno tutti una caratteristica comune: hanno viaggiato, soprattutto fra l'Europa e il Medio Oriente. Di fronte a questo è una vergogna che ancora oggi non sia operativo a livello europeo il Pnr (passenger name record), cioè la raccolta dei dati di tutti i passeggeri dei voli aerei. E' un provvedimento pronto da anni, ricordo che già se ne discuteva dopo gli attentati delle Torri Gemelle, ma la sua attuazione resta bloccata perché si dice che potrebbe mettere a rischio la privacy dei passeggeri.
- Non è così?
No, non è vero. La procedura prevede molte garanzie per la privacy, forse più del necessario. Una sorveglianza attenta sui passeggeri pericolosi non fa nessun danno agli altri passeggeri che non c'entrano nulla. La privacy oggi viene devastata impunemente in tante occasioni e noi non possiamo rinunciare a uno strumento fondamentale di prevenzione. Vanno rotti gli indugi e i governi devono darsi una mossa.
- Secondo lei i terroristi possono davvero nascondersi sui barconi dei migranti?
No, non scherziamo. A livello teorico è anche possibile, ma oggi un terrorista viaggia in aereo, magari in business class, non va ad imbarcarsi su una nave di disperati.
- Ma il controllo dei passegeri aerei può bastare? I terroristi che hanno colpito a Parigi avevano fatto viaggi, però erano radicati da anni in Francia. Che cosa si può fare?
Bisogna congelare i processi di radicalizzazione potenziali in certi ambiti sociali, evitando la deriva di troppi giovani. Penso alle periferie degradate, alle scuole, a certi ambiti sociali dove si accumulano isolamento, frustrazioni e senso di rivalsa. E una strada che va tentata.