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venerdì 25 aprile 2025
 
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Premierato: la riforma garantisce la democrazia?

16/11/2023  In Italia le proposte di riforma costituzionale sono ricorrenti. L’ultima, quella sostenuta dal governo di Giorgia Meloni, avanza l’idea dell’elezione diretta del premier per garantire la guida politica del Paese e dargli maggiore stabilità. Risponde Padre Giuseppe Riggio, gesuita, direttore di Aggiornamenti Sociali

In Italia le proposte di riforma costituzionale sono ricorrenti. L’ultima, quella sostenuta dal governo di Giorgia Meloni, avanza l’idea dell’elezione diretta del premier per garantire la guida politica del Paese e dargli maggiore stabilità. A scapito però di altre figure e istituzioni (presidente della Repubblica e Parlamento), preposte alla garanzia del pluralismo e degli equilibri tra i poteri. Ma la tradizione politica cattolica come si è orientata in passato? E verso dove guarda oggi?

Padre Giuseppe Riggio, gesuita, direttore di Aggiornamenti Sociali

 

Facciamo una premessa. Qual è stato il contributo della componente cattolica alla stesura della Costituzione?

«Centrale fu l’apporto nel porre come suo fondamento la dignità della persona. Non bisogna poi sottovalutare la capacità di dialogo tra forze politiche con tradizioni e visioni di società differenti. La Carta fu un compromesso nel senso più alto e bello di questa parola. La sua forza deriva anche da questo aspetto».

In campagna elettorale si era parlato di una possibile riforma di tipo presidenzialista. Quella avanzata dal Governo è invece un premierato: ci sono differenze?

«Il presidenzialismo o semipresidenzialismo è una forma di governo già conosciuta e sperimentata in vari Paesi. In questo caso è il presidente della Repubblica a essere eletto e rappresenta la maggioranza delle preferenze dei cittadini. In seguito il presidente o è la figura principale del governo (come negli Stati Uniti) o è affiancato da un governo per lo svolgimento del proprio programma politico e delle attività amministrative (come in Francia). Il premierato, come definito nella proposta di riforma costituzionale, è invece una formula originale. Qui la figura che viene eletta direttamente è quella del presidente del Consiglio, che acquista un forte credito politico, senza però che siano rivisti i suoi poteri rispetto allo stato attuale».

Come ne uscirebbe il ruolo del presidente della Repubblica, oggi “arbitro e garante della democrazia”?

«Sostanzialmente ridimensionato. E non solo per le modifiche sul piano giuridico, ma per i riflessi politici. Il presidente della Repubblica, che rappresenta l’unità del Paese, sarebbe eletto dal Parlamento a fronte di un premier eletto direttamente dai cittadini. Questo creerebbe indubbiamente dinamiche differenti rispetto a quelle attuali».

Ci sono governi simili in Europa?

«No. L’unico Paese ad avere avuto un meccanismo analogo è stato Israele dal 1996 al 2003».

Si garantisce un ruolo significativo alla partecipazione dell’opposizione nel processo decisionale?

«Nel testo della riforma non viene introdotta nessuna modifica a questo riguardo. Non viene prevista ad esempio l'introduzione di uno statuto delle opposizioni per equilibrare i poteri della maggioranza. Se tutto restasse identico allo stato attuale, le possibilità di svolgimento di una sana dialettica tra maggioranza e minoranza sarebbero fortemente condizionate, dato che il Parlamento ha visto molto sminuito il proprio ruolo, divenendo di fatto una sorta di ratificatore di decisioni che vengono assunte da parte del governo».

Dunque il Parlamento ne uscirebbe ulteriormente indebolito?

«Sì, la riforma con l’elezione diretta del presidente del Consiglio finirebbe per accentuare il ruolo secondario del Parlamento stesso».

La recente proposta di riforma costituzionale è solo l’ultima di molte. Segno che il bicameralismo perfetto sta dando segnali di inadeguatezza?

«Nel bicameralismo perfetto Camera dei Deputati e Senato della Repubblica hanno gli stessi poteri e funzioni. Era un meccanismo nato per migliorare la qualità dei prodotti legislativi e avere maggiori controlli. Oggi però, in un contesto di dinamiche anche internazionali che richiede maggiore velocità decisionale, questo sistema pone una serie di domande sulla propria bontà ed efficacia. Invece di avere due Camere che svolgono “compiti fotocopia”, si potrebbe pensare a una maggiore differenziazione. Ad esempio, che il Senato sia maggiormente valorizzato come espressione dei territori».

A cosa la tradizione politica cattolica non può rinunciare?

«Nella dinamica decisionale tra partiti andrebbe salvaguardata la dimensione di ascolto di una pluralità di voci, quindi la dimensione parlamentare come luogo dove si svolge il dibattito. Inoltre il sistema di pesi e contrappesi ora previsto nella nostra Costituzione tutela una flessibilità e adattabilità che facilitano la vita democratica, per evitare che le istituzioni s’irrigidiscano e si giunga a un blocco».

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