«La Santa Sede persegue questa linea e continua a chiedere il “cessate il fuoco” — e a cessare il fuoco dovrebbero essere innanzitutto gli aggressori — e quindi l’apertura di trattative. Il Santo Padre spiega che negoziare non è debolezza, ma è forza. Non è resa, ma è coraggio. E ci dice che dobbiamo avere una maggiore considerazione per la vita umana, per le centinaia di migliaia di vite umane che sono state sacrificate in questa guerra nel cuore dell’Europa. Sono parole che valgono per l’Ucraina come per la Terra Santa e per gli altri conflitti che insanguinano il mondo».
In un’intervista al Corriere della Sera, il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, chiarisce il senso e il significato delle parole di papa Francesco nell’intervista rilasciata alla Radio Televisione svizzera (RSI) sulla necessità, per l’Ucraina, di “alzare bandiera bianca e negoziare” che ha suscitato la reazione molto critica di Kiev e delle cancellerie di mezzo mondo. Anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz, ricevuto da Francesco una decina di giorni fa, ha detto di non condividere l'appello di Bergoglio a quella che è apparsa agli osservatori internazionali quasi una chiamata alla resa nei confronti di Mosca.
«Non bisogna mai dimenticare il contesto e, in questo caso, la domanda che è stata rivolta al Papa, il quale, in risposta, ha parlato del negoziato e, in particolare, del coraggio del negoziato, che non è mai una resa», ha detto Parolin che ha ricordato le parole dal direttore della sala stampa vaticana, il quale a sua volta aveva citato le parole del Pontefice del 25 febbraio scorso, ossia, «l’appello di Francesco è che “si creino le condizioni per una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura”. In tal senso è ovvio che la creazione di tali condizioni non spetta solo ad una delle parti, bensì ad entrambe, e la prima condizione mi pare sia proprio quella di mettere fine all’aggressione».
Alla domanda se c’è la possibilità di arrivare a una soluzione diplomatica, Parolin ha spiegato che «trattandosi di decisioni che dipendono dalla volontà umana, rimane sempre la possibilità di arrivare a una soluzione diplomatica. La guerra scatenata contro l’Ucraina non è l’effetto di una calamità naturale incontrollabile ma della sola libertà umana, e la stessa volontà umana che ha causato questa tragedia ha anche la possibilità e la responsabilità di intraprendere passi per mettervi fine e aprire la strada a una soluzione diplomatica».
Il Segretario di Stato non ha nascosto il timore del Papa e della Santa Sede del rischio di un’escalation: «Siamo preoccupati per il rischio di un allargamento della guerra», ha sottolineato, «l’innalzamento del livello del conflitto, l’esplodere di nuovi scontri armati, la corsa al riarmo sono segnali drammatici e inquietanti in questo senso. L’allargamento della guerra significa nuove sofferenze, nuovi lutti, nuove vittime, nuove distruzioni, che si aggiungono a quelli che il popolo ucraino, soprattutto bambini, donne, anziani e civili, vive nella propria carne, pagando il prezzo troppo caro di questa guerra ingiusta».
Sulle analogie tra il conflitto in Ucraina e quello in Palestina, «le due situazioni», ha spiegato Parolin, «hanno certamente in comune il fatto che si sono pericolosamente allargate oltre ogni limite accettabile, che non si riesce a risolverle, che hanno dei riflessi in diversi Paesi, e che non possono trovare una soluzione senza un negoziato serio. Mi preoccupa l’odio che stanno generando. Quando mai si potranno rimarginare ferite così profonde?».
Infine, il Segretario di Stato ha ripreso il timore che più volte ha espresso papa Francesco di un conflitto nucleare: «Il rischio di una fatale “deriva” nucleare non è assente. Basta vedere la regolarità con la quale certi rappresentanti governativi ricorrono a tale minaccia. Non posso che sperare che si tratti di una propaganda strategica e non di un “avvertimento” di un fatto realmente possibile. Quanto alla “paura di fondo” della Santa Sede, credo che essa sia piuttosto quella che i vari attori di questa tragica situazione arrivino a chiudersi ancora di più nei propri interessi, non facendo ciò che possono per arrivare a una pace giusta e stabile».
L’Ucraina domenica scorsa aveva convocato il Nunzio apostolico Visvaldas Kulbokas al ministero degli Esteri per esprimergli «delusione» per le parole del Pontefice. «La resa non significa pace, dobbiamo continuare a sostenere l'Ucraina», ha affermato da parte sua il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, mentre a Washington un portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale ha detto all'Ansa che il presidente Joe Biden «ha grande rispetto per Francesco e si unisce a lui nelle preghiere per la pace». Ma «sfortunatamente - ha aggiunto - continuiamo a non vedere alcun segno che Mosca voglia mettere fine a questa guerra e per questo siamo impegnati a sostenere Kiev nella sua difesa contro l'aggressione russa».