Tenere insieme anziani e bambini. Lo fa papa Francesco facendo salire sulla sua jeep quattro bambini e poi dedicando la catechesi del mercoledì alla vecchiaia. Rimprovera la politica, il Pontefice, chiedendosi «come mai la politica, che si mostra tanto impegnata nel definire i limiti di una sopravvivenza dignitosa, nello stesso tempo è insensibile alla dignità di una affettuosa convivenza con i vecchi e i malati?». Prendendo spunto dal salmo 71, «Non mi abbandonare quando declinano le mie forze», Bergoglio torna a parlare della cultura dello scarto, degli anziani abbandonati anche dalla famiglia, di una condizione dove ci sono fragilità e vulnerabilità. «È vero», dice Francesco, «in questa società dello scarto gli anziani vengono metter da parte e soffrono».
«Il salmista – un anziano che si rivolge al Signore – menziona esplicitamente il fatto che questo processo diventa un’occasione di abbandono, di inganno, di prevaricazione e di prepotenza, che a volte si accaniscono sull’anziano. Una forma di viltà nella quale ci stiamo specializzando in questa nostra società. Non manca, infatti, chi approfitta dell’età dell’anziano, per imbrogliarlo, oppure offesi da forme di disprezzo e intimiditi perché rinuncino ai loro diritti. Anche nelle famiglie - e questo è grave, ma succede - accadono tali crudeltà. Gli anziani scartati, abbandonati nelle case di riposo senza che i figli vadano a trovarli o se vanno vanno poche volte all'anno. L'anziano messo all'angolo dell'esistenza. E questo succede oggi. Succede sempre. Dobbiamo riflettere su questo».
L’intera società, aggiunge il Papa «deve affrettarsi a prendersi cura dei suoi vecchi, sempre più numerosi, e spesso anche più abbandonati. Quando sentiamo di anziani che sono espropriati della loro autonomia, della loro sicurezza, persino della loro abitazione, comprendiamo che l’ambivalenza della società di oggi nei confronti dell’età anziana non è un problema di emergenze occasionali, ma un tratto di quella cultura dello scarto che avvelena il mondo in cui viviamo». E allora «la vecchiaia non solo perde la sua dignità, ma si dubita persino che meriti di continuare. Così, siamo tutti tentati di nascondere la nostra vulnerabilità, di nascondere la nostra malattia, la nostra età, la nostra vecchiaia, perché temiamo che siano l’anticamera della nostra perdita di dignità. Domandiamoci: è umano indurre questo sentimento? Come mai la civiltà moderna, così progredita ed efficiente, è così a disagio nei confronti della malattia e della vecchiaia?».
L’anziano del salmo, che vede la sua vecchiaia come una sconfitta, «riscopre la fiducia nel Signore. Sente il bisogno di essere aiutato». L’invocazione, spiega il Papa, «testimonia la fedeltà di Dio e chiama in causa la sua capacità di scuotere le coscienze deviate dalla insensibilità per la parabola della vita mortale, che va custodita nella sua integrità».
Infine, dice il Pontefice, «la vergogna dovrebbe cadere su coloro che approfittano della debolezza della malattia e della vecchiaia. La preghiera rinnova nel cuore dell’anziano la promessa della fedeltà e della benedizione di Dio. L’anziano riscopre la preghiera e ne testimonia la forza. Gesù, nei Vangeli, non respinge mai la preghiera di chi ha bisogno di essere aiutato. Gli anziani, a motivo della loro debolezza, possono insegnare a chi vive altre età della vita che tutti abbiamo bisogno di abbandonarci al Signore, di invocare il suo aiuto. In questo senso, tutti dobbiamo imparare dalla vecchiaia: sì, c’è un dono nell’essere vecchi inteso come abbandonarsi alle cure degli altri, a partire da Dio stesso».
C’è dunque «un “magistero della fragilità”, che la vecchiaia è in grado di rammentare in modo credibile per l’intero arco della vita umana. Questo magistero apre un orizzonte decisivo per la riforma della nostra stessa civiltà. Una riforma ormai indispensabile a beneficio della convivenza di tutti. L’emarginazione – concettuale e pratica – della vecchiaia corrompe tutte le stagioni della vita, non solo quella dell’anzianità».