Cari amici lettori, nella festa di san Francesco, lo scorso 4 ottobre, papa Francesco ha dato il via al Sinodo sulla sinodalità, con la Messa in San Pietro e, a seguire, l’apertura dei lavori. Un evento importante nella vita della Chiesa, giunto alla terza tappa dopo le due, nazionali e continentali, delle fasi precedenti. Ma – e questa è in effetti una novità – il Santo Padre ha voluto per questo mese di Sinodo (si concluderà infatti il 29 ottobre) una sorta di «ascesi, un certo digiuno della parola pubblica», allo scopo di custodire il clima di ascolto tra i membri del Sinodo, questa “vita dello Spirito” che esso è chiamato a vivere.
Non ci sono cose “segrete” – i temi caldi del Sinodo sono noti da tempo, gli stessi dubia espressi da 5 cardinali li hanno riportati all’attenzione (vedi la nostra rubrica delle lettere a pag. 42), ma è necessario un clima di silenzio per poter discernere, senza pressioni mediatiche, quali sono le strade che il Signore sta indicando alla Chiesa per il futuro. Questa decisione del Papa – che indica la delicatezza, l’importanza e la serietà dei lavori che stanno iniziando – è senza dubbio controcorrente, in un mondo dove le notizie si rincorrono in un flusso costante e dove anche un piccolo pettegolezzo scatena commenti, like e dislike, in un groviglio a volte inestricabile di opinioni, più o meno fondate.
Sarà la Sala Stampa vaticana a dare le comunicazioni ufficiali nei momenti opportuni. Una mossa, credo, destinata anche a evitare un eccesso di attese riguardo ai temi più controversi e richiamare tutti alla necessità di evitare che il Sinodo diventi un “parlamento”, come più volte richiamato da Francesco, e diventi invece ascolto dello Spirito e ascolto reciproco tra i membri del Sinodo. Questo potrà forse generare qualche delusione. Mi sembrano significative, in proposito, le parole del neocardinale Pierbattista Pizzaballa in una recente intervista a Repubblica in cui additava la Chiesa di Gerusalemme, situata in un contesto plurireligioso e pluriculturale, come un «laboratorio» e come modello per abitare tempi “incerti”: «Il mondo occidentale attende soluzioni ai problemi, Gerusalemme insegna, con molto realismo, che ci sono problemi che non hanno soluzioni immediate, con i quali bisogna imparare a vivere».
Una lezione valida anche per noi: la Chiesa si confronta oggi con realtà e dibattiti complessi anche al suo interno, con diverse “anime” e non è detto che a tutto si debba trovare una soluzione definitiva o immediata. «Nella Chiesa c’è la priorità dell’ascolto», ha detto Francesco in apertura dei lavori sinodali. Questo significa che, talvolta, sono necessari i giusti tempi di decantazione delle questioni. È la fatica dei processi lunghi, che oggi un mondo iperveloce fa fatica a essere compresa anche nella stessa Chiesa. Anche in questo, una lezione decisamente controcorrente. Necessaria anche nelle nostre parrocchie e comunità: saper ascoltare, mettendo un po’ da parte se stessi, pazientare, far maturare le cose per indirizzarle nella direzione che vuole il Signore.