Cari amici lettori, il 3 ottobre ricorrono i dieci anni dalla tragedia di Lampedusa, che ha visto il naufragio di un’imbarcazione proveniente dalla Libia al largo dell’isola, con 368 morti e 20 dispersi. Purtroppo Lampedusa continua a essere periodicamente luogo di tragedia, di morti, di dispersi e di disperati che sbarcano in cerca di una vita migliore. Il rischio è di assuefarci a questi drammatici fatti, riducendoli a statistiche o a pretesti per polemiche politiche, perdendo così di vista l’umanità dolente e desiderosa di vita che sta dietro a tutto questo.
È proprio lo sguardo che abbiamo bisogno di recuperare, per vedere oltre e vedere in modo altro.
Ci aiutano, in questo, un episodio di cronaca e un film di successo.
L’episodio, riferito da Save the Children Italia, riguarda un bambino di 3 anni e un ragazzo di 18. Durante il viaggio alla volta dell’Europa, in pieno deserto, il diciottenne si trova di fronte il piccolo di 3 anni, solo, senza nessuno: decide di prenderlo con sé e di prendersene cura. Così, insieme, riescono ad arrivare a Lampedusa. «Non so nemmeno come si chiama ma non potevo lasciarlo solo nel deserto, sarebbe morto, e allora l’ho portato con me, e ci siamo imbarcati insieme», ha dichiarato il diciottenne. Un gesto straordinario di presa in carico, che nella sua piccolezza indica la possibilità di uno “sguardo diverso”. Avrebbe potuto ignorarlo, pensare solo se stesso. Invece no. Nella “sfortuna”, ha saputo aprire il cuore a un altro ancor più bisognoso e fragile.
L’altro spunto mi viene dal film Io capitano di Matteo Garrone, che racconta – con lo sguardo di due ragazzi africani sedicenni, Seydou e Moussa, che partono per l’Europa con il miraggio di fare le star della musica – il terribile viaggio della speranza, con l’esperienza progressiva dei raggiri dei trafficanti di esseri umani, della pericolosa traversata del deserto, dei morti tra le dune, delle torture nelle prigioni libiche, fino al viaggio finale verso l’Italia.
Il regista tratteggia una vicenda profondamente umana, mettendoci nei panni di due giovani ingenui che, pur nell’orrore del viaggio, sono capaci di gesti di solidarietà (tra di loro e con altri profughi) e, verso la fine dell’odissea, si assumono una responsabilità “eccezionale” (il protagonista Seydou) verso gli altri profughi.
Non a caso papa Francesco ha ricevuto il regista, i due attori protagonisti e l’africano a cui è ispirata la vicenda, vedendovi evidentemente un antidoto alla «globalizzazione dell’indifferenza». Un film che, senza enfasi e senza “fare prediche”, anzi con un tocco di poesia lieve, ci apre gli occhi sull’altra faccia della medaglia: appunto la vicenda umana che sta dietro il fenomeno della migrazione, senza ideologie preconcette e stando alla verità dei racconti. Uno sguardo “diverso” può ferire e far male.
Nel Vangelo di qualche giorno fa, Gesù, colpito dalla vista di una processione funebre per un ragazzo morto, figlio di una vedova, «fu preso da grande compassione per lei». Un biblista ha proposto di tradurlo con più forza: «Sentì male al cuore» a quella vista. Anche noi, cari amici, tentati di tenerci a distanza da questa realtà complessa, abbiamo bisogno di questo sguardo altro, se non vogliamo ridurre tutto solo a “numeri” e “fenomeni” sociologici.