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Vale ancora la pena studiare?

09/02/2023  Studiare ci aiuta ad apprezzare il valore della libertà e della gratuità. Leggi la riflessione del teologo Gaetano Piccolo

Alla fine di questa sessione di esami, dopo aver ascoltato per diverse ore i miei studenti, mi sono chiesto: ma cosa pensano davvero dello studio? Come lo vivono? Certamente farei meglio a chiederlo a loro stessi, ma qui posso cominciare a esprimere qualche impressione. In una società che ci spinge a consumare e a raggiungere i nostri risultati senza troppi sforzi, mi sembra difficile che lo studio possa trovare una collocazione dignitosa. Tutti noi, soprattutto da adolescenti, ci siamo chiesti che senso avesse sapere chi era Eliogabalo o cosa avesse detto Arnold Geulincx (anche voi ve lo state chiedendo, vero?). Era proprio inutile! Pensare di dedicare tempo a cose inutili, però, è meraviglioso perché dà un grande senso di libertà, peccato che ce ne accorgiamo troppo tardi. Ci costringiamo invece a essere schiavi di quello che ci serve. Non credo che sia solo una questione teorica o ideale, se infatti siamo abituati fin da ragazzi a guardare solo quello che ci serve, ci formeremo uno sguardo che vede nelle cose e addirittura negli altri ciò di cui possiamo servirci! Scegliamo le cose, e persino le persone, in base a quello che ci è utile. Studiare ci aiuta allora ad apprezzare il valore della libertà e della gratuità. Ovviamente lo studio ci aiuta anche a sviluppare la nostra capacità di ragionare. Ci permette di renderci conto che non sappiamo tutto e quindi ci predispone all’umiltà. Al contrario, chi non si è mai confrontato con il pensiero degli altri, chi non si è mai sforzato di capire quello che non è chiaro, si convincerà di sapere tutto: di solito più siamo ignoranti e più siamo arroganti. L’umiltà e l’educazione crescono man mano che ci rendiamo conto che quello che sappiamo è davvero poco. Lo sforzo che facciamo per capire il pensiero degli altri, per comprendere una teoria o per interpretare un fatto storico, ci aiuta a crescere nella capacità di confrontarci con il modo di pensare degli altri. Sarà probabilmente l’età che avanza, ma ho l’impressione che come educatori, formatori, docenti, facciamo fatica a trasmettere questi valori e questa passione per la conoscenza. Se alla fine di un corso o di una anno scolastico gli studenti non raggiungono buoni risultati, il primo a interrogarsi deve essere l’insegnante. E anch’io provo allora a riconoscere le mie responsabilità per capire dove sono in questo processo.

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