Stoccolma nel sole è magnifica, piena di giovani mamme con doppi passeggini, segno che le politiche familiari funzionano. La civiltà si tocca (e si apprezza) nelle piccole cose: nelle indicazioni, abbondanti e chiare, delle stazioni ferroviarie; nella possibilità di pagare tutto, anche un caffè, con una carta di credito; nell’allestimento dei musei sempre attento al visitatore, anche se disabile o bambino (a uno scalino corrisponde sempre una rampa o un ascensore); nella presenza di un bagno pubblico, ragionevolmente pulito, ogni poche centinaia di metri.
Proprio perché il contesto è questo, certe scoperte fanno
anche più male. Perché ti colgono impreparato, come un pugno nello
stomaco inatteso. La strada è centrale, ma un po’ defilata rispetto alla
consuetudine dei turisti, a ora di pranzo la bazzicano gli svedesi.
Guardare dove vanno a sedersi per uno spuntino e imitarli è la buona
regola del turista fai da te: se apprezzano loro sarà buono anche per
noi.
Il menu della catena Baresso coffee è un pannello
luminoso sulla parete di fondo, si legge bene anche oltre le teste della
coda alla cassa. Parla svedese con traduzione in inglese. Ma il nome dell'insalata al centro dell'elenco no, quello è italiano ed è quanto basta
per girare i tacchi e andare a via. Quell’insalata a base di pomodoro, prosciutto crudo e qualcosa d’altro si chiama: ‘cosa nostra’.
La prima reazione, emotiva, è il disgusto che si prova non solo nel sentirsi, da italiani, rappresentati così, ma nel vedere calpestati, nella leggerezza che riduce a folclore uno strumento di prevaricazione e di morte, i tanti che a causa della criminalità organizzata hanno sacrificato la vita, uccisi perché si sono messi di traverso combattendo la mafia anche sapendo di rischiare o semplicemente perché si sono trovati, ingnari e innocenti, al momento sbagliato sulla strada di un regolamento di conti altrui. Fa star male pensare che nel civilissimo Nord Europa, in cui pure Tv pubbliche e bravissimi giornalisti lavorano per un’informazione onesta, seria e coraggiosa anche su questi temi, ci sia ancora bisogno di ricordare che di mezzo lì non c’è la salsa di pomodoro di un western all’italiana, ma il sangue vero di troppe persone, il dolore delle loro famiglie, l’intimidazione, la democrazia calpestata, il giogo di un potere illegale e iniquo.
La seconda reazione, meno emotiva, è il prendere atto che con altri non si permetterebbero mai simili libertà, che non si sognerebbero di chiamare, absit iniuria verbis, "Ira" un’insalata irlandese o "Breivik" un panino norvegese. E questo merita, anche da parte della politica italiana, una riflessione seria sull’immagine che si esporta.
La terza reazione, a freddo - non è la prima volta che in Europa accade di vedere la mafia in un menu -, è la preoccupazione davanti alla sottovalutazione di cui questa greve insensibilità è indice: l’Europa sta sottostimando un problema anche suo. Le criminalità organizzata non è folclore, è criminalità, pericolosa e proteiforme: fa affari dove ci sono denari e non si pone problemi di confini. Va dove si trovano occasioni e - dove la guardia è bassa e la legislazione inadeguata - si serve indisturbata, infiltrandosi, investendo, riciclando, concorrendo slealmente contro chiunque. Mentre la mancanza di strumenti antimafia adeguati in Europa comporta il pericolo di vanificare – nel mare aperto della discontinuità normativa - il lavoro di chi in Italia, dove le leggi per il reato di associazione mafiosa ci sono, sta in prima linea nella lotta alla mafia rischiandoci la vita e sacrificandole pezzi significativi di libertà personale. Nei termini di questo sacrificio, purtroppo, non c’è civiltà che ci possa dar lezioni. E gli svedesi, che godono di un meritato prestigio per la loro civiltà vera - La Svezia è la quarta Nazione meno corrotta al mondo -, non dovrebbero accettare di verderlo messo in gioco così a buon mercato, svenduto al prezzo di un’insalata di pessimo gusto.