Cari amici lettori, è con grande gioia che vi presento su questo numero una lunga e intensa intervista che papa Francesco ha concesso a Credere. La attendevamo da qualche tempo e, quando – in modo inatteso – ci è giunta la conferma della sua disponibilità – per la seconda volta nel decennio di vita della testata –, questo è stato motivo di immensa gioia e di grande soddisfazione. Sentiamo l’onore – e anche l’onere
– di ospitare un’intervista a Francesco, poiché, fin da quando è nata nel 2013, la rivista segue da vicino il suo pontificato, raccontandone i viaggi, le iniziative, ma anche le parole settimana per settimana. Abbiamo cercato di avvicinare i lettori al suo magistero, così ricco di gesti eloquenti e spesso sorprendenti. Seguirlo, anche per i credenti, non è sempre facile. Colgo l’occasione per invitare tutti voi lettori a pregare in modo particolare per il Papa, per il difficile ministero che porta avanti in questo che è, come lui ha affermato più volte, un «cambiamento d’epoca» e non solo un’epoca di cambiamento. Tanto più gli dobbiamo
gratitudine per aver accettato di essere intervistato da Credere. Mi piace sottolineare un passaggio dell’intervista, che mi ha particolarmente toccato e in cui è “venuto fuori” il cuore dell’uomo e del sacerdote Bergoglio. Egli ricorda la confessione di un uomo, un giovane padre di famiglia, con uno stipendio al limite della sopravvivenza, che gli confidava il suo rammarico di poter vedere poco i figli a causa degli orari di lavoro e la sua gioia nel poter giocare con loro la domenica. E commentava: «Mentre noi chierici a volte viviamo nell’agio, occorre vedere le sofferenze della gente». Poco prima, come “icona” del saper piangere per la sofferenza, aveva ricordato la vedova di Nain. Ho percepito in queste parole qualcosa di intenso, che mi ha ricordato un passaggio del Vangelo: «Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di
loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» (Marco 6,34). La misericordia, lo sguardo tenero e amorevole di Gesù sulle folle, è al cuore di tanto magistero del Papa: amore e verità non sono inconciliabili, anzi l’amore illumina e umanizza la verità. Saper vedere tutto con cuore di pastore, non è difficile rendersene, è al centro di tante sue preoccupazioni ecclesiali, di recente con Fiducia supplicans. Questo, insieme all’attenzione per i “piccoli”, è profondamente evangelico.
E qui emerge un altro lato dell’uomo Bergoglio, che nell’intervista “confessa” come gli manchi quella vicinanza immediata al popolo di Dio, da cui lui – che è chiamato a insegnare – sa anche imparare, e come questa vicinanza con cuore di pastore dovrebbe essere lo stile di tutta la Chiesa,
in particolare dei suoi preti e vescovi. Se qualche volte nei suoi interventi le parole sono un po’ forti nei loro confronti, credo che si debba coglierne l’intento positivo: richiamare alla vocazione fondamentale dei pastori di “rappresentare” Cristo in mezzo alla gente. Quel Cristo che si è lasciato commuovere dalle sofferenze delle
persone e che se n’è fatto carico. Indifferenza, distanza, eccesso di sofisticatezza non sono parole che si addicono a chi vive del Vangelo di Gesù.