Mi sento di dire che vedo più rischi che opportunità in questa proposta. I nostri figli infatti, dopo l’abbuffata di partecipazione collettiva dei giovanissimi alla vita politica che ha connotato gli anni ‘70, a partire dagli anni ’80 se ne sono progressivamente disinteressati. Non solo loro, in verità, considerato che quasi la meta degli adulti aventi diritto al voto, non si presenta alle urne. Negli ultimi decenni la politica è diventata una dimensione “altra”, quasi aliena che ha faticato sempre più a stare in contatto con la gente, ovvero con chi decide chi mettere al governo. Se uomini e donne si sentono sempre più distanti da chi eleggono, per ragazzi e ragazze la distanza con i politici di turno potrebbe addirittura rivelarsi siderale. Nessuno si occupa di formare a una coscienza civile – e quindi anche politica – i giovanissimi. E lo spettacolo che la classe politica ha dato di sé in questi anni è stato così diseducativo e così poco esemplare, che noi genitori, per primi, non abbiamo né voluto né desiderato che i nostri figli ne sapessero qualcosa di partiti e uomini di governo. Questo è un tema che non compare mai nelle conversazione di famiglia. Ed è un tema che la scuola stessa tiene lontano, probabilmente impaurita dal fatto che le famiglie potrebbero definire indottrinamento ciò che invece dovrebbe chiamarsi “formazione dei cittadini del futuro”. È un po’ come per la sessualità: tutti dicono che si dovrebbe parlarne, ma poi nessuno lo fa. E se qualcuno ci prova, immediatamente viene indicato come un soggetto che vuole manipolare in modo ideologico le coscienze dei minori. Così tutto si arena.
Insomma, il rischio di far votare i 16enni per me è rappresentato dalla totale impreparazione con cui verrebbero avvicinati a questa esperienza. Sarebbe, nella maggior parte dei casi, il voto di soggetti totalmente analfabeti del “territorio” per il quale otterrebbero diritto di navigazione. E a proposito di navigazione, temo che di fronte all’apertura al voto dei giovanissimi, alcuni partiti politici invaderebbero il mondo del web, i canali social più frequentati dagli adolescenti e metterebbe in atto una strategia di marketing finalizzata a carpirne il consenso. Vincerebbero probabilmente i simpaticoni, i bulli, i tronisti, gli slogan più trash, ma capaci di fare tendenza. Ovvero, improvvisamente il mondo della politica, di fronte ai 16enni che votano, pagherebbe cifre spropositate per chiedere ai professionisti del marketing e della comunicazione chi è l’influencer di turno, chi il divo dello schermo p dello sport capace di spostare di un punto percentuale il dato elettorale.
Insomma, si aprirebbe un gioco finalizzato a raccogliere voti e consensi, non a rendere davvero i contenuti a misura di “adolescenti”. Che rischierebbero di trasformarsi anche in questo caso in burattini del sistema. Proprio nel momento in cui invece dovrebbero agire in modo consapevole un’azione dal valore simbolico e concreto elevatissimo.