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La vicenda occorsa ieri in Austria ci racconta di Artur, un giovane adulto rimasto intrappolato in un labirinto di follia omicida e di traumatizzazione irrisolta. L’una ha alimentato l’altra fino a generare una strage che vede morire persone innocenti e totalmente estranee alle vicende personali dell’assassino.
Tutto sembra avere origine - da ciò che ci raccontano i media – dal bullismo di cui lo stragista Artur ha sofferto negli anni della sua prima adolescenza, proprio all’interno della scuola in cui si è presentato ieri armato. Da quella stessa scuola, Artur pochi anni prima era uscito, interrompendo gli studi, e scomparendo al mondo, ovvero facendo perdere ogni traccia di sé e diventando invisibile a tutti, anche a se stesso. Fuori da scuola e fuori dal mondo: questa potrebbe essere la descrizione dell’adolescenza di Artur dopo l’abbandono del liceo. Probabilmente è appartenuto a quella categoria che il mondo ha chiamato prima “Hikkikomori”, mediando questa parola dal fenomeno giapponese che ad inizio del terzo millennio, ha visto decina di migliaia di giovani adulti scomparire dalla vita reale e rintanarsi dentro le proprie stanze, dotandosi però di un’identità digitale. Ma Artur non ha lasciato dietro di sé nemmeno impronte digitali. Apparentemente non è stato abitante di alcuna vita, né nel reale, né nel virtuale. Eppure fino a ieri era vivo. Vivo ma invisibile. Probabilmente è rimasto intrappolato dentro il percorso della follia paranoide. Dentro la sua mente ha coltivato per anni un bisogno di vendetta e riparazione.
Non sappiamo cosa gli sia accaduto nella prima adolescenza, ma l’essere tornato nella scuola di cui poi è diventato un “desaparecido” ha una valenza simbolica enorme. Perché il gesto compiuto ieri narra il delirio in cui probabilmente la mente di Artur ha abitato per tutti questi anni. La traumatizzazione di cui si è vittime a causa del bullismo spesso è talmente intensa da spingere chi la subisce al ritiro sociale. L’unica difesa di cui ci si sente capaci è quella di fuggire dai luoghi in cui si viene maltrattati e derisi. Per molti ragazzi vittime di bullismo a scuola, il risveglio al mattino è come il risveglio del soldato che deve andare in guerra, che si prepara per scendere in trincea. Mentalmente, si immagina che l’unica cosa che ci può salvare è far fuori il nemico. E se questa possibilità non esiste, si possono prendere solo due strada: subire in silenzio oppure ritirarsi dalla scena.
Chiaramente c’è la terza via: ovvero affrontare la situazione di bullismo e cambiare il corso degli eventi. Ma questo, spesso, risulta impossibile. Ci si sente impotenti, si vive la vergogna del proprio stato di vittima, ci si percepisce esattamente come il bullo ci descrive: inetti, pusillanimi, buoni a nulla. Se nella scuola non sono stati adottati e messi in atto protocolli di prevenzione, educazione e affrontamento del bullismo, il soggetto subisce la sua condizione di vittima, galleggiando in un oceano di impotenza e disvalore percepiti che gli conferiscono un’identità fragile e psichicamente a rischio. Senza un supporto adeguato, si rischia di naufragare, proprio in quel tempo della vita in cui invece è importantissimo imparare a tenere in mano il timone della propria esistenza e darle una direzione.
Artur, prima assassino e poi suicida, autore della strage di Graz, deve essersi perso nella paranoia di vendetta e rancore con cui ha deciso di vendicare il se stesso pusillanime ed inetto che a 15 anni ha dovuto lasciare la scuola, non trovando altro modo per fronteggiare la vittimizzazione di cui era stato fatto oggetto. A qualche anno di distanza, ha avuto la possibilità di dotarsi di armi potenti (cosa che non poteva fare a 15 anni) e ha usato il suo status di adulto per diventare il giustiziere che ha vendicato un passato che lo ha tenuto in ostaggio senza mai che qualcuno gli proponesse altri vie, più funzionali e adeguate, per tornare ad abitare in modo competente ed efficace la vita.
Non è solo il bullismo ciò che ha generato la strage di ieri a Graz. È anche l’invisibilità sociale di chi in adolescenza ha problemi di salute mentale. E’ anche la disponibilità di armi ad uso privato di cui il mondo occidentale sembra essere sempre più affamato. È la solitudine che pervade in modo sempre più intenso le nostre vite, ma in particolare quelle dei nostri adolescenti. È l’incapacità della famiglia contemporanea di chiedere aiuto e di accorgersi che qualcosa di enorme e gravissimo sta accadendo nella vita di un figlio che sceglie l’invisibilità come strategia per stare al mondo. È proprio in quel nascondersi a tutto e a tutti, che spesso la mente produce i pensieri più terribili. Pensieri che partono da domande cruciali e importantissime in età evolutiva (chi sono? Chi sarò? Che valore ho? Come posso chiedere aiuto quando ne ho bisogno?), ma che non hanno mai saputo trovare la risposta più adeguata e funzionale.



