PHOTO


«Come la devo chiamare: Carlo Pedersoli o Bud Spencer?». L’uomo che è diventato un mito per generazioni di ragazzi, il gigante buono che distribuiva pugni e manate con contorno di effetti speciali e smitizzava l’azione violenta con un effetto catartico per cui anche i cattivi facevano ridere, sorride seduto al tavolo rotondo di una dimora colma dei ricordi di una vita.
Ha appena compiuto 85 anni e ha pubblicato un libro con il quale scherza con i filosofi, prefato dal suo amico Luciano De Crescenzo. Si intitola Mangio ergo sum (Edizioni Npe). Lui ha una passione per il cibo e per la filosofia, dice che le cose che contano sono poche, che non si vive se non si crede in qualcosa e che pensare non basta, e poi che ciò che conta alla fine è solo l’amore.
Si chiama Carlo Pedersoli, campione olimpico di nuoto di anni dimenticati, ma è stato il primo italiano a scendere sotto il minuto nei cento metri stile libero, 59’5’’ a Salsomaggiore nel 1950 e poco dopo a Vienna, vasca da 25 metri. Racconta una vita talmente intrecciata che a volte si perde il filo. Al cinema ci è finito per caso e per via di Maria, la moglie con la quale vive da 52 anni.
È l’attore italiano più noto nel mondo, lui che mai ha frequentato alcuna accademia di arte drammatica e che mai ha litigato con l’altro, il mingherlino di una delle coppie più note del mondo. Bud Spencer e Terence Hill, alzi la mano chi non ha riso fino alle lacrime in un cinema scalcagnato di oratorio sulle sedie che scricchiolavano.
MAI UN LITIGIO
Bud sorride sempre con gli occhi piccoli, voce profonda, accento indefinito, sapore di Napoli, dove è nato: «Maria era la figlia di Giuseppe Amato, produttore di cinema tra i più grandi. Mi propose una parte, prima dissi di no, poi ci provai e sul set trovai un tipo simpatico, Mario Girotti. Ma ci dissero che non andavano bene i nomi e così io in omaggio a una birra mi chiamai di nome Bud e di cognome, ricordando il grande attore americano, Spencer (Spencer Tracy, ndr) e lui scelse il suo da una lista di nomi inventati: Terence Hill».
Giura di non averci mai litigato e quattro anni fa hanno ricevuto il David di Donatello alla carriera. Hanno fatto 16 film insieme. I tedeschi gli vogliono particolarmente bene, amano i suoi film e i suoi libri, tre, che in Germania vanno a ruba. Anche questo è uscito prima in tedesco e poi in italiano.
Ha fatto di tutto Carlo-Bud: l’operaio in Brasile, il campione di nuoto, ha scritto canzoni per la Vanoni, ha composto musica, ha sceneggiato, interpretato e diretto una montagna di film, 126. Con Ermanno Olmi ha provato la parte drammatica, nel film Cantando dietro i paraventi e ci è riuscito benissimo. Ha segnato la storia del cinema, senza mai infilare uno scandalo.
Ma non se ne fa vanto e dice con piglio lieve: «Con un’attrice non ho mai nemmeno preso un caffè». Per un periodo lo hanno chiamato Bambino e lui ancora ci ride. Dice: «Ho sempre voluto bene ai bambini, se li ho fatti ridere quando erano tristi e ho migliorato la vita di qualcuno anche solo per un momento, di questo solo posso fare un vanto».
È un p0’ come la storia evangelica dei talenti. Bud Spencer non li ha sprecati. Quando in Sudafrica giravano Piedone l’africano, lui protagonista assieme a un bimbo nero di nome Bodo, una sera la troupe va al ristorante: «Era il 1976, piena apartheid. Il direttore mi dice: “Signor Spencer, il bambino non può entrare”. E io portai via l’intera troupe. Si arrivò all’incidente diplomatico».
Carlo-Bud è nato a Napoli, vicoli del cuore partenopeo, famiglia ricca, fabbrica di ferro saltata in aria per via di una nave carica di esplosivo centrata dalle bombe durante la guerra. Persero tutto. È andato a scuola con Luciano De Crescenzo, ma lo scoprì molto dopo e ora lui ha ricambiato con la prefazione ai filosofi che discutono di cibo in sogno con il suo vecchio compagno di elementari. È italiano, ma preferisce sentirsi europeo: «Noi dobbiamo ancora diventare un popolo». Ragiona di tante cose. Sull’immigrazione ha un’idea precisa: «Non abbiamo chiuso le porte, ma non abbiamo nemmeno predisposto politiche e strategie di accoglienza. E ora rischiamo la guerra tra poveracci».
Sulla guerra è icastico, due parole, senza appello: «È la cosa che odio di più». Per il resto non odia nessuno. È curioso soprattutto di vedere cosa c’è dopo, oltre la morte: «Nessuna paura. Ho cercato di non essere padrone di nessuno. Ho amato e spero che mi abbiano amato. L’unica cosa che vale la pena di difendere è l’amore e io sono onorato di essere arrivato fin qui». Carlo Pedersoli o Bud Spencer, non importa.



