Niccolò Campriani, campione olimpico di carabina tre posizioni, è solo davanti al suo minuscolo bersaglio quanto il rigorista è solo davanti alla sua porta. Ma l’analogia finisce qui. Anche se Niccolò ha in fatto di pallone e di sport, uno sguardo particolare, è ingegnere: sa leggere le innovazioni tecnologiche e la balistica dei tiri.  

La sfida del mondiale di calcio e la sfida del campione olimpico di tiro a segno, quanto possono somigliarsi, fatte le debite proporzioni?
«Direi che c’è una differenza sostanziale, psicologica, tra sport di squadra e sport individuali. Ci sono dinamiche diversissime: in squadra che tu voglia o no devi convivere. In situazione estreme come il Mondiale, però, per quanto ci sia chi dice son pagati profumatamente per quello, sono professionisti, la tremarella viene anche a loro, anche perché sono sottoposti a pressioni esterne enormi. Le nostre alle Olimpiadi a confronto sono in scala molto ridotta. L’errore di un calciatore con i social network viene amplificato a dismisura: fotomontaggi, sfottò all’infinito. Hanno anche fantasia, fanno ridere,  ma non si mettono mai nei panni che dell’atleta che ci si trova. Io ci provo a mettermi nei loro panni e non so come reagirei, perché lì per lì sei il primo a non essere razionale. E poi se ti avvicini a un evento importante da solo ti puoi autogestire e sei il solo responsabile della tua preparazione, in squadra assorbi la tensione degli altri».  

Come si sente nel vedere la vostra visibilità così ridotta a fronte della sovraesposizione dei calciatori?
«Sollevato, in  momenti come quelli di questi giorni mi dico ben venga la clandestinità».  

Il tiro del tiro a segno e il rigore: simbolicamente si somigliano?
«In effetti analogie ci sono. Una cosa facile che diventa difficile perché tutti son lì a guardarti. Anche nelle cose quotidiane che ti riescono facilissime con uno che ti scruta, qualcosa cambia. Da noi fare dieci dopo tot anni è facilissimo, come per il calciatore tirare il rigore, la porta è così grande… ma a quel punto il problema non è saperlo fare ma la paura di non farlo. Purtroppo la mente fa cortocircuiti: appena arriva il desiderio di fare qualcosa, arriva in coda la paura di non riuscirci. In quello sì, tiratore o calciatore, sei solo e devi fare i conti con te stesso. ».  

Il difficile è simulare la fatica fisica che ti appanna, forse al tiratore non accade…
A noi aiuterebbe fare sforzi fisici, recuperare e poi fare la gara, perché per quanto l’adrenalina pompi il battito non arriva più al livello molto alto. Ma è diverso, il difficile per loro è che passano da gesto di squadra a gesto individuale di botto, forse – nel rigore - sono avvantaggiati i più egoisti in campo».  

C’è qualcosa in questo Mondiale di interessante per l’ingegnere Campriani?

«E’ il mondiale della goal line tecnology, il dispositivo, che con 14 telecamere, stabilisce se la palla sia entrata o meno in porta. Mi ha fatto sorridere un episodio in Francia –Honduras, uno dei primi esperimenti con la tecnologia e la grafica. I giornalisti dicevano: “Ecco, hanno speso un sacco di soldi per la tecnologia ma non è affidabile”. In realtà è affidabilissima, il problema era interpretarne i segnali: hanno fatto vedere la palla che ha sbattuto contro il palo e mostrato gli schermi dello stadio con scritto “no-goal”, poi il momento successivo, subito dopo, dove la palla era effettivamente entrata mandando anche all’arbitro il segnale del gol sull’orologio. Lì per lì non sapendo leggere la grafica hanno fatto un pasticcio. Era tutto in progressione e non sarebbe stato il caso di fermare l’immagine e mostrare no-goal, dovendo calcolare la reazione dello stadio. Hanno fatto confusione ma non era colpa della tecnologia, molto più precisa dell’occhio umano. Il problema era la grafica. La tecnologia per quanto buona per arrivare alla gente deve essere presentata correttamente».  

Il gol più interessante agli occhi dell’ingegnere, dal punto di vista della balistica?

«Non so dire. Il gol che s’è visto di più è il primo di Van Persie contro la Spagna, ma non tanto per la balistica, quanto per la coordinazione del gesto. Per avere qualcosa di significativo dal punto di vista balistico ci sarebbe voluta una punzione alla Pirlo».  

Blatter apre a una forma di moviola in campo. Platini ha dei dubbi. Lei da ingegnerecome la vede?

«Condivido l’idea di applicare time-out – in numero limitato diciamo due a partita – in cui l’allenatore, come il giocatore nel tennis, possa chiedere che sia rivista l’azione contestata. A quel punto molte polemiche si sopirebbero e anche sull’arbitro ci sarebbe meno pressione. Se l’allenatore non contesta subito o gestisce male le sue due occasioni subendo l’errore si assume parte della responsabilità e non può recriminare quanto ora».