Nameer e sua moglie Elham hanno una famiglia numerosa e felice. Lui veterinario, lei insegnante hanno 4 figli: la terza quattordicenne, Shosho è disabile per una paralisi celebrale dalla nascita.

Fino al 2014 vivevano a Kirkuk, in Iraq, il più grande centro petrolifero dell’Iraq, dove seppur tra tante difficoltà hanno convissuto arabi sciiti e sunniti, curdi, assiri caldei e cristiani. Fino al tempo dell’Isis.

La sera del 2 giugno del 2014 Nameer stava tornando a casa dal lavoro quando all’improvviso è stato fermato da uomini armati con il volto coperto. Dopo essere stato tirato fuori dall’auto con la forza, si è ritrovato con un’arma puntata sulla fronte.

Conosciamo bene la tua famiglia di cristiani infedeli. Non avete il diritto di vivere in Iraq. Ve ne dovete andare, altrimenti vi uccideremo”.   Il passaggio da una vita felice al pericolo di morte è stato davvero troppo veloce per Nameer e la sua famiglia. “Ancora mi domando come sia riuscito a salvarmi da quella situazione”, racconta. “Quando sono tornato a casa ho avvertito mia moglie di non uscire più per nessun motivo e di non aprire la porta a nessuno”. Mentre partiva la corsa al reperimento di tutti i documenti necessari per scappare, Nameer, in cuor suo, conservava la speranza di poter crescere i suoi quattro figli nella città in cui lui stesso era nato e dove aveva conosciuto sua moglie. La sua casa non poteva essere una prigione per sempre, con pazienza contava semplicemente su tempi migliori, ma all’orizzonte si manifestavano solo gli scenari più cupi. Dopo poco tempo Kirkuk cadeva nelle mani dell’Isis e una sera di fine luglio del 2014 il telefono di casa Nameer squillava insistentemente. Dall’altra parte della cornetta c’erano gli uomini che non volevano vederlo girare liberamente per le strade di Kirkuk.

“Stai disobbedendo alla legge dell’Isis restando in Iraq. Così dimostri di non prenderti cura della tua famiglia”.   Con questa minaccia telefonica finiscono le speranze di Nameer di poter trascorrere la sua vita in Iraq. L’8 settembre 2014 arrivano in Giordania, dove vengono accolti dalla Chiesa locale e la Nunziatura di Amman. Le minacce di morte sono finite, ma Shosho ad Amman non può seguire una corretta attività di riabilitazione e non ha accesso alle medicine necessarie.

È stato Don Mario Cornioli, sacerdote toscano in servizio al Patriarcato Latino di Gerusalemme, a segnalare questo caso al Serafico che con il progetto “I Letti di Francesco” potrà dare nuova speranza a questa famiglia di rifugiati.   Il loro trasferimento in Italia è stato possibile grazie al programma di reinsediamento gestito dal Ministero dell’Interno – Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione e cofinanziato dal Fondo Asilo Migrazione e Integrazione dell’Unione Europea.

Shosho, la figlia di Nameer ed Elham è stata accolta al Serafico di Assisi  in uno dei nuovi posti letto per i bambini disabili gravi che fuggono da guerre o situazioni di assoluto abbandono, sostenuti esclusivamente con la carità.

Questa è la nuova sfida del Serafico lanciata con il progetto “I Letti di Francesco”. La scelta del nome è significativa: se da un lato rimanda a San Francesco d'Assisi, a cui l'ente stesso si richiama anche nel nome, il santo infatti veniva chiamato "Serafico” per il suo ardore di carità, dall’altro è un omaggio a Papa Francesco, la cui storica visita al Serafico del 2013 ha spinto il centro di riabilitazione di Assisi ad aprire le sue porte per rivestire di dignità la vita dei bambini disabili gravi provenienti dalle zone più povere del mondo. Il filo rosso che unisce il predicatore per eccellenza dell’amore per il prossimo e Papa Bergoglio è la volontà del Serafico, nell’anno giubilare della misericordia, di non mettere confini all’accoglienza, anche di fronte al crescente fenomeno delle migrazioni internazionali che ha incrementato il bisogno di assistenza per la popolazione minore e disabile a cui spesso viene preclusa la possibilità di trasferirsi presso strutture adeguate. 

Shosho è la seconda bambina accolta in questi spazi. Oltre a lei, Eddy, un bambino microcefalo di 6 anni, è arrivato in Italia da un piccolo paesino del Kosovo dove viveva in condizioni di estrema povertà con i suoi genitori e i suoi tre fratelli. Eddy ha una tetraparesi spastica, serie difficoltà ad alimentarsi, soffre di epilessia ed è soggetto a continui problemi respiratori. Un quadro clinico troppo pesante per i suoi genitori che lo hanno lasciato partire per l’Italia. Oggi Eddy è stato accolto in affido da una famiglia di Assisi ed è in cura al Serafico dove è stato elaborato per lui un “Progetto Riabilitativo Individuale”, definito da un’équipe multidisciplinare di alta specializzazione.