Enrico Brizzi va braccato. Ora è in aeroporto, ora in stazione, ora in bici, ora in cammino. A piedi. Meno male che i telefoni fissi non esistono praticamente più. Allo scrittore bolognese la passione per il cammino è stata trasmessa dalla madre, per poi crescere dai 7 ai 19 anni nell’associazionismo scout, fino a diventare tesoro di esperienza da trasmettere alle nuove generazioni, a partire dalle sue quattro figlie. Brizzi non è però nemico degli stanziali, tant’è vero che su Credere ha scelto di raccontare proprio uno di loro, san Romualdo, l’eremita di Camaldoli che scriveva: «Siedi nella tua cella come nel Paradiso, scordati del mondo e gettalo dietro le spalle».

C’è dunque qualcosa che accomuna eremiti e camminatori? Forse proprio questo gettarsi il mondo alle spalle, immergendosi nel presente minuto dopo minuto, passo dopo passo. «Ogni volta che parto per un viaggio a piedi mi colpisce l’enorme differenza tra la preoccupazione e le infinite valutazioni che la precedono, rispetto all’affidamento che vivo mentre cammino», ci racconta. «Quando il domani diventa oggi sei tranquillo, sai che tutto andrà bene. Gesù invitava i suoi amici pescatori di Tiberiade che “si facevano le paranoie” – come dicono i ragazzi – ad affidarsi al Padre prendendo a esempio gli uccelli del cielo. E se questa tranquillità viene concessa loro, perché non anche a noi che siamo tenuti in maggiore considerazione di volpi e bestie selvatiche? Siamo chiamati al massimo affidamento».

Di strada Brizzi ne ha fatta tanta, e letteralmente. Migliaia di chilometri mettendo un piede avanti all’altro. La Via Francigena, da Canterbury a Roma. Da Torino a Santiago di Compostela. Da Roma a Gerusalemme, sempre con il “cavallo di san Francesco” e una deroga in barca a vela. E tanti altri ancora. Brizzi ci ha resi suoi compagni di viaggio in resoconti romanzeschi come Nessuno lo saprà (2005), Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro (2007), Il cavaliere senza testa (2018), Il diavolo in Terrasanta (2019) o il recentissimo Il fantasma in bicicletta (2022), dedicato a Giovannino Guareschi


PELLEGRINO E "PSICOATLETA"

Un po’ pellegrino e un po’ “psicoatleta”, per ricordare il titolo di un altro suo romanzo. «È una parola goliardica e scanzonata, nata tra noi amici di cammino spesso chiamati “matti psichiatrici” per queste imprese. Ma ha pure un significato più profondo, perché in greco psyche indica sia la mente che l’anima, quindi l’unione della razionalità con ciò che la scavalca. Così questa parola, “psicoatleta”, definisce ciò che sen- to mentre cammino: corpo, mente e anima si muovono insieme».

Questo gruppo di amici si è poi costituito in associazione (www.psicoatleti.org) e ha festeggiato il traguardo dei 18 anni. Ma ha tagliato anche traguardi benefici. «Pochi giorni fa – grazie a una raccolta fondi – abbiamo consegnato divise sportive, palloni da calcio, quaderni e materiale di cancelleria a un centinaio di bambini ucraini rifugiati in Emilia». E anni addietro un altro progetto promosse la piantumazione di alberi lungo la Via Francigena. Perché imbarcarsi in queste avventure? «Decidere di mettersi in viaggio a piedi verso Roma, Santiago di Compostela o Gerusalemme – ovvero quelle che Dante chiamava le “peregrinazioni maggiori” – ha a che fare anche con la nostra essenza di uomini europei e occidentali, eredi attuali di una civiltà che il cristianesimo ha contribuito a definire in maniera decisiva. Credo quindi che siano mete ancora oggi attuali, e che chi non le ha mai prese in considerazione farebbe bene a riscoprirle».

E chi non ha le possibilità di tempo o le forze fisiche per farlo con lo zaino in spalla? «Si può camminare anche solo attraverso i libri, leggendo i resoconti di chi ha camminato prima di te. È anche questa una condivisione della strada, in ascolto delle orme di altri, come i frati durante la lettura delle meditazioni mentre sono in refettorio».



LA FEDE ESTESA É CAMMINO

Dante, i monaci... ma la strada ci porta più indietro del Medioevo. Tendiamo a rimuoverlo, ma – per lo meno nei suoi anni di predicazione – Gesù è stato un nomade, con neppure «un sasso dove posare il capo» (Matteo 8,20). Viaggiava a piedi, mai appesantito da bagagli inessenziali, rigorosamente in compagnia, e alloggiava presso amici e discepoli, quasi fossero un circuito di ostelli ante litteram. La fede? È decisamente un viaggio in compagnia. «Amo anch’io camminare in compagnia, forse proprio perché la scrittura mi porta già a stare da solo», appunta Brizzi.

«Siamo creature fatte per stare con gli altri. È bello che nel cammino ci siano momenti in cui ti adatti, impari a stare insieme agli altri, con amici, fratelli e nuove conoscenze, e te ne rallegri. Ma è bello che ci siano anche momenti in cui sei davanti a un bivio, e nessuno decide per te. La parola “decidere”, così vicina a “recidere”, in latino rimanda a un taglio, all’animale sgozzato nei sacrifici pagani, perché ogni decisione è uccidere quel qualcun altro che potremmo essere. Il cammino in solitaria ti insegna a decidere, che è una qualità propria degli adulti».

A proposito di sacrifici nei templi negli Atti degli Apostoli il cristianesimo viene definito “la Via”, san Paolo si converte per strada, a dire che all’origine della nuova fede c’era un dinamismo insofferente alla staticità di un tempio. Eppure, nei secoli, ci siamo abituati a istituzioni e sicurezze, erigendo basiliche, cattedrali, chiese. Come tenere insieme questi due poli? Ma è poi possibile? Brizzi ci pensa su.

«Non posso fare a meno di pensare che, chi viveva in città e aveva le cattedrali sempre sotto gli occhi, le viveva in maniera del tutto diversa dal contadino o dal pellegrino che arrivava da lontano davanti alla loro maestà. Immaginiamo cosa si provava nel vedere svettare quelle torri un poco per volta, dopo giornate e giornate di cammino, e ingrandirsi man mano che ci si avvicinava alle città. Mi resta il turbamento di pensare che questi luoghi non siano tanto – o soltanto – il nucleo attorno a cui si costruisce una città, ma che siano delle tappe. Luoghi che ci devono apparire all’improvviso salendo su una collina: sudanti, stanchi e impolverati. È bello che, andando a Santiago a piedi, ti appaiano all’improvviso Arles, Montpellier, Tolosa, Lione, Pamplona... una dietro l’altra, come i grani di un grande rosario».

Anche Gesù provò il medesimo stupore quando, bambino, giunse in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme. Anni dopo, in quello stesso luogo, ribaltò i tavoli dei mercanti senza troppi complimenti. Forse anche la nostra visione, appannata dall’abitudine, andrebbe rovesciata in quello stesso modo