La più grande operazione di scambio di prigionieri di guerra da quando è cominciata l'aggressione russa in Ucraina, il 24 febbraio del 2022. E' iniziata oggi, 23 maggio, e prevede nell'arco di diversi giorni il ritorno a casa di 1000 prigionieri dalla parte russa e 1000 dalla parte ucraina, sulla base di un accordo siglato il 16 maggio a Istanbul, dove le delegazioni di Kyiv e Mosca si sono incontrate per i primi colloqui diretti fra i due Paesi dal 2022. 

L'ultimo scambio prevedeva solo soldati, ma il presidente ucraino Zelensky ha dichiarato che Kyiv sta lavorando per la liberazione e il ritorno dalla cattività in Russia anche di giornalisti e di prigionieri politici.  Negli scambi di prigionieri, un ruolo fondamentale, come mediatore e facilitatore, è giocato dal Vaticano, come hanno ricordato, nei loro rispettivi incontri con papa Leone XIV, il presidente Zelensky e il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina l'arcivescovo Viatoslav Shevchuk. Tre giorni fa il presidente dell'Unione nazionale dei giornalisti ucraini, Serhii Tomilenko, ha consegnato al nunzio apostolico della Santa Sede a Kyiv, monsignor Visvaldas Kulbokas, una lista di operatori della comunicazione detenuti in Russia. Secondo i dati dell'Unione, i giornalisti ucraini attualmente prigionieri sono almeno 31. 

Come sottolinea la testata ucraina Kyiv Independent, mentre le trattative per il cessate il fuoco e il cammino verso la pace sono nel limbo, gli scambi di prigionieri restano una delle rare aree in cui la cooperazione fra Russia e Ucraina ha continuato ad andare avanti (e l'accordo per il maxi-scambio è stato l'unico risultato reale, concreto ottenuto a Istanbul). Mosca ha frenato sulla possibilità di tenere i negoziati di pace in Vaticano, offerta avanzata da papa Leone XIV. Il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha giudicato irrealistico che le delegazioni russa e ucraina si incontrino presso la Santa Sede. «Non è elegante che Paesi ortodossi discutano in una sede cattolica delle questioni relative alla eliminazione delle cause fondamentali» del conflitto, ha detto Lavrov, aggiungendo che tra queste cause ci sarebbe «il percorso di distruzione della Chiesa ortodossa ucraina» da parte delle autorità di Kyiv. «Penso che non sarebbe facile per lo stesso Vaticano ricevere delegazioni di due Paesi ortodossi in queste condizioni», ha concluso il ministro degli Esteri.

Kyiv ha messo al bando la Chiesa ortodossa ucraina legata al Patriarcato di Mosca in realtà in conseguenza dell'invasione russa e della guerra, ad agosto del 2024, con il disegno di legge n. 8371 "Sulla protezione dell'ordine costituzionale nel campo delle attività delle organizzazioni religiose", sottoscritto dal presidente Zelensky, che vieta l'attività di «organizzazioni religiose affiliate alla Russia in Ucraina» con specifico riferimento alle attività della Chiesa ortodossa russa. Un provvedimento che è stato fortemente criticato da papa Francesco con un appello a non abolire direttamente o indirettamente alcuna Chiesa cristiana.

Sui prossimi passi verso una trattativa con Kyiv, il Cremlino fa sapere che non ci sono ancora accordi e decisioni. Mentre Zelensky, già alla vigilia dei colloqui in Turchia, si dichiarava pronto a contatti diplomatici diretti e ha ribadito di essere disponibile a partecipare a qualunque formato per la pace, Mosca dal canto suo rimanda, aspetta, prende tempo. E intanto rifiuta il cessate il fuoco, continuando a tenere alta la tensione e ad attaccare in modo massiccio ed esteso il territorio ucraino, da Odesa a Zaporizhzhia, da Kherson a Pokrovsk, nella regione di Donetsk, da Kupiansk, nell'oblast di Kharkiv, alla regione di Poltava.  

(Foto Ansa: il presidente ucraino Volodymyr Zelensky)