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Nelle pagine di Quando il mondo dorme (Rizzoli), a un certo punto Francesca Albanese confida un suo pensiero pieno di stupore: “Quanto dolore possono contenere dei corpi così piccoli”. Albanese pensa ai bambini palestinesi, quelli sotto le bombe di Gaza e quelli vessati in Cisgiordania, bambini magari orfani, costretti a lasciare le loro case, senza scuole in cui studiare.
Nel suo ultimo libro Francesca Albanese, la Relatrice speciale ONU sul territorio palestinese occupato, racconta un viaggio scandito da dieci persone che l’hanno accompagnata a comprendere storia, presente e futuro della Palestina.
Il titolo del libro è un atto di accusa, contro un mondo che dorme di fronte ai torti che sta subendo la popolazione palestinese. Eppure in queste ultime settimane nella comunità internazionale sembra esserci un cambio di tono. Le critiche verso le politiche del governo israeliano più a destra ed estremista di sempre stanno diventando più frequenti, anche il cancelliere tedesco Merz ha rotto un tabù criticando in modo esplicito Israele. Forse il silenzio sta diventando meno assordante? “Sì. È così”, riconosce Albanese, “ma il il titolo del libro cattura uno spazio e un tempo molto lunghi, trent’anni che hanno permesso di arrivare a questo punto. Oggi noto finalmente una impossibilità di negare l’evidenza. Chi ha guardato alle vicende di Gaza e della Cisgiordania giorno dopo giorno per 600 giorni non ha dubbi che questa presa di coscienza è insufficiente, sebbene necessaria”.
A giudizio di Albanese, “bisogna cavalcare questo momento politico per portare alla fine del genocidio e c’è solo un modo pacifico per farlo: interrompendo gli aiuti militari verso Israele e sospendendo gli accordi commerciali, cioè applicando delle sanzioni. Non c’è altra scelta. Anche se sarebbe stato giusto imporre le sanzioni anni fa, non adesso, dopo 600 giorni di guerra e 60 mila morti palestinesi”.
Albanese si definisce “una giurista che lavora come esperto tecnico” delle Nazioni Unite. “Io studio i fatti e preparo relazioni alla luce del diritto internazionale”, dice. Non essendo un diplomatico, non usa il linguaggio felpato della diplomazia. Albanese descrive i fatti di Gaza e della Cisgiordania parlando apertamente di “genocidio” e “apartheid”. Una franchezza che la rende oggetto di critiche, anche feroci. “Non ho mai giustificato Hamas e l’antisemitismo, sono sempre stata dalla parte di chi è vittima di una violazione del diritto internazionale, che siano gli israeliani il 7 ottobre del 2023 e i palestinesi prima e dopo il 7 ottobre. Le critiche che mi rivolgono sono un’arma di distrazione”, ribatte.
“La volontà di genocidio”, spiega, “è chiara nelle parole degli esponenti del governo israeliano, che hanno voluto colpire i palestinesi di Gaza, considerandoli animali a cui tagliare i viveri e gli aiuti, da bombardare anche se sono bambini”.
Convinta che quella palestinese “non è una crisi umanitaria da gestire in perpetuità, ma una questione politica da risolvere ai sensi del diritto internazionale”, nelle prossime settimane Francesca Albanese pubblicherà un nuovo rapporto che considera fra i suoi più importanti. “Sarà una messa in stato di accusa di un sistema perché mi soffermerò sull’economia dell’occupazione, cioè tutti quei gangli, meccanismi, attori del settore economico, finanziario, accademico legato alla ricerca scientifica che hanno reso possibile lo sfollamento forzato della popolazione palestinese. Su mille imprese ne ho analizzate cinquanta e le ho accusate di essere collegate a vario titolo a questa economia di occupazione. E non sarà un atto di accusa solo contro l’Occidente”.
Nel nostro colloquio Francesca Albanese ripete il suo stupore per la forza dell’infanzia palestinese così duramente colpita. “Quei bambini, nonostante il loro dolore, sono rimasti pacifici e speranzosi. Ci sono decine di migliaia di bambini rimasti senza genitori e il timore è che in questo serbatoio di abbandono possa germinare il seme di nuova violenza. Ma sono convinta che con tutto l’amore del mondo, quando tutto sarà finito, questi bambini li potremo recuperare, restituendo loro tutto ciò che gli è stato rubato”.
Albanese non crede alla spirale dell’odio senza fine. “Ero negli Stati Uniti durante l’esplosione del movimento di protesta Black Lives Matter e gli esponenti del movimento ripetevano: non ve la daremo vinta, non vi odieremo come avete odiato noi. Sono frasi che ho sentito anche dai palestinesi. Nonostante la precarietà della loro vita li ho sentiti ripetere: ‘non riuscirete a farci odiare’. Dobbiamo alimentare questa voglia di giustizia, non di vendetta”.



