Non si contano più le “svolte” mediatiche del caso Garlasco da quando il procedimento è stato riaperto. Ogni volta un presunto colpo di scena. Solo il tempo del processo, con le sue regole, ma ancora lontano dall’aprirsi (siamo ancora alle indagini preliminari di un caso riaperto, a nove anni dalla sentenza definitiva che ha condannato Alberto Stasi), dirà quali di questi infiniti elementi, di presunta svolta, avranno valore di prova nelle aule di giustizia, se l’avranno.

Per intanto sono indiscrezioni che ogni parte fa uscire e commenta, sulla base del proprio interesse, appunto, di parte: un meccanismo comune, ma molto evidente nella situazione di questo particolare caso dove ci sono due parti, (quella che rappresenta Sempio, l’attuale indagato, per concorso, e quella che rappresenta Stasi, il condannato con sentenza definitiva per l’omicidio, e che punterebbe alla revisione) che hanno due interessi processuali diametralmente opposti e che provano a veicolare, come è loro diritto fare, utilizzando ciascuna mediaticamente ogni dettaglio, all’opinione pubblica l’interesse del proprio cliente, contrapposto a quello della controparte.

Da sinistra: Chiara Poggi, l'ex procuratore di Pavia Mario Venditti, Andrea Sempio (ANSA)

A queste due parti si aggiungono il punto di vista della Procura, che ha riaperto il procedimento e che in questo caso, - in genere non è così -, si trova contrapposto a quello della parte civile che rappresenta la famiglia della ragazza uccisa, convinta della bontà della decisione della sentenza definitiva, l’unica parte che, del tutto legittimamente, e dal punto di vista emotivo comprensibilmente, desidererebbe non vedere ogni sera il volto di una figlia uccisa 18 anni fa in Tv appena prima dell’ora di cena. Ma il palinsesto lo reclama, lo spettacolo deve continuare, perché di questo in fondo si tratta, di una commistione in cui intrattenimento e informazione si mescolano, con una parentela ogni giorno più lontana da quello che si consuma nelle aule del Tribunale.

L’ultima indiscrezione parla della perizia biostatistica sulla traccia di Dna sotto le unghie di Chiara Poggi ritenuta, in base a quanto trapelato, compatibile con la linea maschile della famiglia Sempio, ma non in grado di indentificare un singolo individuo.

Le conclusioni verranno depositate il 5 dicembre in vista dell’udienza per l’incidente probatorio in calendario il 18 dicembre successivo, da parte della consulente del Giudice per le indagini preliminari di Pavia, firmata dalla tecnica biologica Denise Albani: solo a partire da quel giorno si fronteggeranno in aula i consulenti delle parti.

Il nodo sarà sempre lo stesso: stabilire non solo se quel Dna possa essere ricondotto ad Andrea Sempio, attuale indagato, ma provare che sia arrivato sulle mani della vittima in occasione del delitto e non per contaminazione precedente con oggetti toccati da entrambi, lecitamente, prima, nella casa di lei che l’indagato frequentava come amico del fratello di Chiara.

Un frame dalla puntata dalla trasmissione di Rai3 Chi l'ha visto? con Andrea Sempio (ANSA)

Se verrà un rinvio a giudizio, che

con le regole della riforma Cartabia è possibile solo se quanto raccolto nelle indagini porterà il Giudice per le indagini preliminari a una prognosi di condanna per l’indagato, tutto il processo si giocherà su una complessa contrapposizione tra consulenti scientifici, ad alta specializzazione, complicata dal fatto che, per il tempo trascorso e per errori iniziali, alcuni elementi resteranno irrimediabilmente perduti.

L’unica cosa certa per ora è che, qualunque esito avrà il procedimento, fosse anche il più accurato possibile, scontenterà i tifosi di una o dell’altra parte nel processo parallelo che in Tv ha ormai assunto dinamiche da stadio: uno spettacolo che non c’entra quasi niente con le regole del processo vero ma che non smette di attirare pubblico e di inventarsi nuove vetrine.

A chi in tutto questo desiderasse non tifare ma capire, non resta che suggerire l’unica strada razionale: armarsi di pazienza e usare cautela di fronte alle indiscrezioni, perché se in Tv basta l’applausometro e in rete la viralità, in Corte d’Assise servono prove, che reggano fino in Cassazione. A maggior ragione in un caso già segnato da inizi accidentati.