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"Avvoltoi vestiti da prete". Così il ministro dell’Interno venezuelano Diosdado Cabello ha attaccato i vescovi del Paese, colpevoli di aver chiesto la liberazione dei detenuti politici in vista delle prossime canonizzazioni. Ma dietro l’insulto si nasconde una verità scomoda: in Venezuela, la Chiesa cattolica è diventata l’ultimo baluardo di resistenza contro un regime che non tollera più neppure la preghiera. Mentre il mondo celebra María Corina Machado, premio Nobel per la Pace 2025, i vescovi venezuelani pagano il prezzo della loro scelta di campo: stare dalla parte degli ultimi, dei perseguitati, di chi chiede giustizia. E il regime di Nicolás Maduro, sempre più isolato, risponde con la repressione, gli arresti, e una retorica che ricorda i tempi più bui della storia latinoamericana.


La Chiesa come opposizione: una voce scomoda per Maduro
In Venezuela, la Conferenza episcopale non ha mai nascosto la sua posizione: il Paese è in mano a un’autocrazia che getta i cittadini nella paura, tra arresti arbitrari, crisi economica e declino democratico. I vescovi, da anni, denunciano le violazioni dei diritti umani, le elezioni truccate, la persecuzione dei dissidenti. Non sono più solo guide spirituali, ma attori politici, accusati dal governo di essere "un partito contro il popolo". Il ministro Cabello non usa mezzi termini: «Non c’è bisogno di fare distinzione tra gerarchia ecclesiastica e opposizione, perché la gerarchia ecclesiastica fa parte dell’opposizione venezuelana».
Infatti, dopo l’appello dei preti venezuelani per la liberazione dei prigionieri politici, i tonni si sono inaspriti. Il governo ha definito i vescovi "avvoltoi vestiti da prete", mentre le Forze armate si preparano al "peggio". Ma la Chiesa non arretra. Anzi, in occasione della canonizzazione dei primi due santi venezuelani, madre Carmen Rendiles e il dottor José Gregorio Hernández, i vescovi hanno chiesto esplicitamente a Papa Leone XIV di intercedere per la liberazione dei detenuti, trasformando una celebrazione religiosa in un atto di sfida politica.


María Corina Machado: il Nobel che svela la crisi del regime
Il 10 ottobre 2025, il Comitato Nobel ha assegnato il premio per la Pace a María Corina Machado, leader dell’opposizione, «per il suo instancabile lavoro nella promozione dei diritti democratici del popolo venezuelano e per la sua lotta per una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia». Un riconoscimento che arriva mentre Machado vive in clandestinità, dopo aver sfidato il divieto di candidarsi alle presidenziali del 2024 e aver guidato una campagna elettorale che, secondo l’opposizione, avrebbe visto vincere il suo candidato Edmundo González Urrutia con oltre il 70% dei voti. Il regime ha risposto con la repressione: 24 morti, 2.400 arresti, e la fuga in esilio di González. Machado, però, è rimasta. E oggi, con il Nobel, diventa il simbolo di una battaglia che va oltre i confini del Venezuela.
«Maduro lascerà il potere, con o senza negoziato», ha dichiarato la Nobel in un’intervista all’AFP, sottolineando che il rapporto di forza è cambiato: «Il mondo sa che hanno perso. Noi abbiamo dimostrato la nostra vittoria». Le sue parole risuonano come una condanna per un regime che, nonostante la facciata di forza, trema di fronte alla pressione internazionale e alla mobilitazione popolare.
La Chiesa tra fede e politica: un ruolo sempre più centrale
La Chiesa cattolica venezuelana non è nuova a questo ruolo. Già sotto Hugo Chávez, i vescovi avevano denunciato la deriva autoritaria. Oggi, con Maduro al terzo mandato (non riconosciuto dalla comunità internazionale), la loro voce è ancora più forte. La Conferenza episcopale ha ribadito che le elezioni del 2024 sono state una farsa, e che il vero vincitore è il popolo, privato della sua volontà. Ma il regime non perdona: i vescovi sono accusati di essere "diavoli con la sottana", e la popolazione, stanca della crisi, inizia ad abbandonare il cattolicesimo, passando alle chiese evangeliche, spesso più vicine al potere.
Eppure, la Chiesa rimane un faro. «Anima la speranza tra repressione e disillusione», ricordando come parroci e vescovi sostengano la popolazione, denuncino le sparizioni, e chiedano giustizia per i detenuti. Un impegno che costa caro: solo pochi giorni fa, il ministro Cabello ha attaccato la Cev per aver condiviso un elenco di prigionieri a rischio, da liberare con urgenza.
La situazione venezuelana è al centro dell’attenzione globale. Gli Stati Uniti, che non riconoscono Maduro, hanno aumentato la taglia per la sua cattura a 50 milioni di dollari, accusandolo di narcotraffico e legami con il terrorismo internazionale. Donald Trump, da mesi, minaccia un intervento militare, mentre la flotta americana pattuglia le coste caraibiche. Machado, dal canto suo, non nasconde il sostegno a Washington: «Contiamo sul presidente Trump e sulle nazioni democratiche come nostri alleati per la libertà». Ma la vera posta in gioco è la transizione democratica. «Senza libertà non c’è pace, e senza forza non c’è libertà quando si affronta una struttura narco-terrorista», ha detto Machado, chiedendo garanzie per i militari che abbandoneranno il regime. Un appello che trova eco anche tra i vescovi, che chiedono una soluzione pacifica, ma senza compromessi con la dittatura.
In Venezuela, oggi, si gioca una partita che va oltre la politica. È una battaglia per la dignità, per il diritto di scegliere il proprio futuro, per la libertà di pregare senza essere accusati di tradimento. I vescovi, con il loro coraggio, ricordano che la fede non può essere separata dalla giustizia. María Corina Machado, con il suo Nobel, incarna la speranza di un Paese stremato, ma non vinto. E il regime, sempre più isolato, risponde con la violenza, perché sa che la storia, questa volta, non è dalla sua parte.



