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Risale in Italia lo spreco alimentare: a casa si passa da 75 grammi di cibo buttato ogni giorno a testa nel 2023, a quasi 81 grammi nel 2024, in pratica oltre mezzo chilo (566,3 grammi). Si tratta dell'8,05% di spreco in più rispetto a un anno fa, per un costo l'anno a famiglia di 290 euro e di 126 euro procapite.
È la fotografia che emerge dal Rapporto “Il caso Italia” dell'Osservatorio Waste Watcher International, in vista dell'11ma Giornata nazionale di Prevenzione in programma lunedì 5 febbraio.
Si scopre che si spreca di più nelle città e nei grandi Comuni (+ 8%) e meno nei piccoli centri e a buttare più cibo sono le famiglie senza figli (+ 3%) e i consumatori a basso potere d'acquisto (+17%); un fenomeno più accentuato al Sud (+ 4% rispetto alla media nazionale) e meno a Nord (- 6%). Conti alla mano lo spreco complessivo di cibo in Italia vale oltre 13 miliardi: un dato vertiginoso che include quello domestico, che incide per quasi 7,5 miliardi, quello nella distribuzione di quasi 4 miliardi, oltre allo spreco in campo e nell'industria, molto più contenuto.
Ma la questione dello spreco di cibo è legata all'allarme sociale: chi si dichiara “povero” mangia peggio e spreca di più (+17%). L'effetto prolungato dell'inflazione abbassa, infatti, il potere d'acquisto e indirizza verso cibo di peggiore qualità e più facilmente deteriorabile; 1 consumatore su 2 cerca cibo a ridosso di scadenza per risparmiare, il 41% sceglie il discount a scapito del negozio, il 77% ha intaccato i risparmi per fare fronte al costo della vita, il 28% ha tagliato ulteriormente il budget per la spesa alimentare.


«Sono dati che dobbiamo attenzionare con cura» rileva il direttore scientifico Waste Watcher, Andrea Segrè «perché ci permettono di evidenziare la stretta connessione fra inflazione e insicurezza globale da un lato e ricaduta sociale dall’altro, fra potere d’acquisto in calo costante e conseguenti scelte dei consumatori che non vanno purtroppo in direzione della salute dell’ambiente, ma nemmeno di quella personale Se in un primo momento l’effetto inflazione ha portato a misurare con decisione gli sprechi, prolungata nel tempo ha costretto i cittadini all’adozione di nuove abitudini ‘low cost’ per fronteggiare la crisi. Scegliere cibo scadente, meno salutare e spesso di facile deterioramento non comporta solo un aumento del cibo sprecato in pattumiera, ma anche un peggioramento nella propria dieta e nella sicurezza alimentare. Se la salute nasce a tavola, dal cibo scadente deriva l’aggravio dei costi sociali e ambientali. In definitiva: da poveri mangiamo e stiamo peggio e sprechiamo persino di più. E questo circolo vizioso si riverbera sull’ambiente. Se vogliamo davvero “fare la differenza”, come chiede il claim dell’11^ Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, l’azione deve essere sinergica: ciascuno nel suo quotidiano, ma servono anche e soprattutto politiche pubbliche mirate a mitigare gli impatti dell'inflazione sulla sicurezza alimentare, con un focus particolare sulla tutela dei ceti sociali più vulnerabili. Affrontare la crisi alimentare emergente richiederà un approccio integrato che comprenda sia strategie di sostegno economico che iniziative educative per promuovere scelte alimentari sane, consapevoli e sostenibili».



