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Un frame tratto da un video dell'aggressione al 22enne che è stato accoltellato da un gruppo di coetanei, riportando lesioni permanenti a una gamba. È accaduto a Milano nella notte dello scorso 12 ottobre e oggi la Polizia di Stato ha arrestato cinque suoi coetanei della zona di Monza, 18 novembre 2025.
Calci, pugni e due coltellate fatali a un ventenne nel centro di Milano: lesione irreparabile al midollo spinale, perforazione del polmone. Cinque arrestati, due minorenni e due appena più grandi. Intercettati durante il fermo, parlano, spavaldi. «È in fin di vita, almeno non parla». «Non so se si vede il video dove lo scanniamo». Pensano di andare in ospedale a trovarlo fingendo di pentirsi «e poi gli stacco tutti i fili».
Parole che lasciano sgomenti. Come angoscia la serie di violenze commesse dalle cosiddette baby gang nelle città piccole e grandi. Il branco in Salento che aggredisce un ragazzo, deriso e picchiato perché diabetico; tre contro uno a Fermo contro un minorenne; linciaggio di un coetaneo a Napoli, incitato dal padre; dieci contro due a Correggio con botte e insulti.
Una litania di orrori in poche settimane che provoca paura e che suona come emergenza. Bisogna dichiararlo subito: non è vero che sono aumentati i delitti da parte di minorenni. Basta leggere i dati del Ministero degli Interni e della Giustizia: a meno di pensare che siano menzogneri, certificano numeri in calo. Però la percezione conta e la percezione di insicurezza per via dei ragazzini che spadroneggiano nelle città dilaga. Se poi si alimentano campagne mediatiche aumenta e diventa allarme sociale.
Le notizie vere vanno date, l’enfasi, l’indignazione, il contorno di interpretazioni andrebbero invece calibrate e mai usate come arma politica. Fermandosi ai fatti, comunque, tocca riflettere non solo sull’efferatezza dei crimini di questi giovanissimi delinquenti, ma sulla banalità del male, sulla strafottente esaltazione dell’impresa pericolosa, sul senso di impunità, sulla totale mancanza di empatia umana con le vittime, designate spesso per gioco o per caso.
Siamo immersi in una cultura che ha derubricato il male dall’ambito della responsabilità, che ne ha alzato l’età di riferimento creando un limbo di eterni adolescenti, in grado di guidare a 16 anni, di scegliere se e quando cambiare genere sessuale, e poi compatiti e moralmente assolti se colti in flagranza di reato. Le povertà, la mancanza di prospettive, la dipendenza dei social, la solitudine nei grandi centri urbani, la latitanza delle famiglie, un’alleanza con la scuola che non funziona, le immigrazioni incontrollate, la mancata comprensione di patologie mentali. Tutto verissimo.
È sacrosanto implementare gli strumenti più creativi per arginare la violenza minorile: sportelli permanenti a scuola e nelle Asl con psicologi preparati, educazione civica svolta seriamente, controllo dei servizi sociali, spazi di aggregazione, dispositivi intelligenti per segnalare in anticipo assembramenti pericolosi, case famiglie e istituti penali minorili che non solo rinchiudano, ma permettano una reale rieducazione.
Ma non basterà. Perché a 16,17 anni non si è bambini. Smettiamola di parlare di baby killer. O è frutto della follia, o il male è sempre una scelta. Soprattutto sei in gruppo, e nessuno ha il coraggio di dissociarsi. La coscienza del bene e del male è custodita nel cuore di ogni uomo, dall’età della ragione in poi, a prescindere dalle condizioni sociali, economiche, culturali. Se usata male, si chiama peccato.
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