Un gruppo di ragazzi pieni di vita e voglia di fare, un oratorio vivace, la passione comune per la montagna e una croce. Questi gli ingredienti di una storia che sembra uscita da un romanzo di formazione e che parla di amicizia, comunione d’intenti, tensione verso l’alto... e verso l’Alto. 

A raccontarcela è Renzo Montorfano, che agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso era un giovanotto poco più che ventenne. Faceva parte del gruppo di ragazzi attivi nella comunità di San Paolo a Cantù e con i suoi coetanei animava il frequentatissimo oratorio di San Giovanni Bosco, sotto la guida di don Nicola Daverio, un giovane sacerdote che si lasciava coinvolgere dall’entusiasmo contagioso di quei giovani.

«Erano anni di grande fervore ed era bello sentirsi parte di un progetto di formazione, fatto di relazioniamicali, catechismo, giochi, svago. Ci accomunava inoltre la passione per la montagna e l’arrampicata. Così con una cinquantina di coetanei decidemmo di fondare un gruppo, in seno alla parrocchia, che aveva come scopo fare esperienza spirituale nella bellezza della natura e salendo in vetta», spiega Montorfano. «Nacque così, spontaneamente, nel 1963 il Geam (Gruppo Edelweiss Amici della montagna). L’assistente spirituale ce l’avevamo e bravo. E soprattutto le montagne erano lì a tiro. Con l’autofinanziamento ci acquistammo i primi materiali e le corde e iniziò l’avventura». Il Resegone e le guglie della Grigna erano a poche decine di chilometri di distanza. Il resto lo fece la voglia di camminare e salire. Al Geam apparteneva anche l’alpinista Giorgio Brianzi, che sarebbe diventato accademico del Cai e che perì tragicamente sul Rosa nel 1981.

«Di scalata in scalata, non ci siamo più fermati: Pizzo Badile, Campanile Basso del Brenta, e poi i “quattromila”, dal Bernina al Cervino, dal Gran Paradiso al Rosa divennero le nostre mete, sempre più ambiziose», ricorda Renzo.

Fu così che prese corpo nel gruppo quell’idea, all’inizio bizzarra e fin troppo audace, di costruire una croce da portare e montare sulla cima Dufour del Rosa, a 4.633 metri d’altitudine. Ma perché una croce? «Perché per noi – figli de l’uratori – era sinonimo di vetta, di gioia, di conquista comune, di appoggio, di preghiera di ringraziamento al Signore». Niente a che vedere, perciò, con il proselitismo o l’evangelizzazione forzata delle Alpi, come ogni tanto qualche esponente laicista vede questo gesto. E perché proprio sul Rosa? «Perché era l’unica cima importante che conoscevamo senza una croce e perché sarebbe stata la più alta delle Alpi e d’Europa (la vetta del Bianco, infatti, sta su una calotta di ghiaccio). L’impresa fu pensata nei minimi dettagli: a Carlo, uno dei nostri compagni che studiava architettura, fu affidata la progettazione; al sottoscritto, dato che ero tecnico progettista di macchine meccaniche, la realizzazione della base». Quindi alcuni artigiani di Cantù si occuparono della costruzione del manufatto, in alluminio: 1,6 metri in altezza e in larghezza, in tre pezzi, con al centro, incastonata, una copia della Madonnina del Duomo di Milano».

E nell’agosto del 1964, grazie a Renzo e ad altri ragazzi del Geam che salirono in vetta con la croce sulle spalle, quello che sembrava un sogno irrealizzabile scintillava al sole dalla punta Dufour. E il Geam si conquistò gli onori della cronaca nazionale.

Alla prima generazione del gruppo seguì la seconda che avrebbe fatto la propria parte. «Nel 2015 una cordata d’amici, nostri figli, accortisi che la croce era stata danneggiata e quasi divelta, l’hanno riparata e rinsaldata alla roccia». Pochi anni dopo accade qualcosa di più grave: la croce fu totalmente staccata da vandali e gettata giù sotto la parete est del Rosa.

E qui arriviamo all’ultima, bella pagina che vede il Geam ancora protagonista: «Abbiamo deciso, a nostre spese, di rifare la croce, uguale alla prima ma in acciaio: 120 chili contro i 30 della prima», dice Renzo. E, grazie stavolta all’aiuto entusiasta delle cinque sezioni di guide alpine del Monte Rosa (Alagna, Champoluc, Macugnaga Zermatt e Gressoney), nel settembre del 2020 la croce del Geam torna in cima al Rosa, issata da un elicottero e fissata dalle guide nel posto esatto dove stava (nella foto di copertina). L’anno prossimo gli ex ragazzi del Geam festeggeranno i 60 anni dell’impresa. Renzo ci ha dedicato un libro, intolato Philia. Ancora oggi a Cantù si racconta con orgoglio di quel gruppo d’amici e della loro leggendaria conquista. E una croce, rinata più forte di prima, parla ancora da lassù di amicizia e di bellezza.