Antefatto: un ex senatore, De Gregorio, entrato con l’Idv in Senato, confessa di avere accettato milioni di euro da Valter Lavitola per cambiare casacca a favore dell’allora Pdl, col risultato di provocare la caduta del governo Prodi al momento in carica. Per questa ragione il Senato della Repubblica è considerato parte lesa al processo per corruzione che si sta per aprire presso il Tribunale di Napoli. In quanto parte lesa il Senato ha diritto a costituirsi «parte civile», cioè a vedersi riconosciuto il risarcimento danni nell’ambito del processo penale. La decisione spetta al presidente del Senato.  

Il resto è storia, e polemica, di queste ultime ore. Pietro Grasso, presidente del Senato, prima ha consultato il consiglio di presidenza del Senato (che ha espresso otto pareri favorevoli alla costituzione di parte civile e 10 contrari) e poi ha deciso per il sì. Decidere autonomamente era in suo potere. Premesso che le proporzioni del consiglio di presidenza risultano invertite rispetto a quelle dell’aula dove le aree che hanno espresso parere favorevole hanno la maggioranza - , e che non ci sono stati voti, il parere è da regolamento solo consultivo e non vincolante.  

La decisione, pur riconosciuta legittima anche da quella parte, ha scatenato l’ira del centrodestra
che accusa Grasso di voler fare fuori un avversario per via giudiziaria e tensioni nel centrosinistra per il pericolo che la decisione possa far saltare gli equilibri e compromettere indirettamente il tavolo della riforma della legge elettorale.  

La partita ovviamente è apertissima e la valutazione sulle conseguenze politiche del caso pure. Ma la strada di Pietro Grasso era obiettivamente strettissima. Doveva scegliere tra i calcoli della real politik e la coerenza con la propria storia personale e istituzionale. E Pietro Grasso è il senatore che il  giorno stesso del suo ingresso in Senato, prima di sapere di diventarne presidente, aveva depositato un disegno di legge per il contrasto alla corruzione, adatto a rispondere ai nodi che l’Europa ci ha messo sotto il naso meno di una settimana fa.

Ma davvero avrebbe potuto il Grasso presidente di oggi scendere a patti con il senatore del primo giorno e negare un segnale di coerenza delle istituzioni a fronte di un sospetto di corruzione che vede il Senato –l’istituzione di cui da Presidente è garante – possibile oggetto di  un volgare commercio? Davvero avrebbe potuto farlo senza mettere in questione –davanti ai cittadini elettori -la propria coerenza di uomo delle istituzioni che ha fatto della lotta alla corruzione il suo cavallo di battaglia?

Probabilmente no, ma nel mondo a rovescio che abitiamo chi è sospettato di aver pagato la mazzetta per far cambiare colore a un governo rivendica il diritto di far parte del processo riformatore e chi si è preso la responsabilità di dare un segnale formale delle istituzioni contro la corruzione viene accusato di colpo di Stato e richiesto di dimissioni. Come direbbe Flaiano la situazione è grave, ma non seria. Ma a questo punto la domanda da farsi qui non è più se Pietro Grasso abbia fatto bene o male a decidere così.

Quello che dovremmo chiederci qui ora è altro, e non è un problema di destra e sinistra ma del Paese in quanto tale, e cioè: quand’è che in questo Paese un comportamento lineare, consequenziale alle parole, in politica ha cessato di essere un valore per diventare un intralcio, quand’è che la coerenza personale e istituzionale ha cominciato per un uomo politico a diventare un problema senza che gli anticorpi interni alle istituzioni registrassero un sussulto, con tanti saluti all’articolo 54 della Costituzione?