Sono in viaggio a bordo della nave della Marina Militare i primi 16 migranti richiedenti asilo intercettati da navi militari italiane in acque internazionali e diretti nei centri di accoglienza in Albania aperti sotto la giurisdizione italiana.  Avranno tempo quattro settimane per presentare i documenti necessari alla domanda di asilo. Se non verrà accolta in teoria dovrebbero essere  rimpatriati nei paesi di origine. Se il Governo italiano naturalmente plaude al provvedimento costato ufficialmente 800 milioni di euro e verso cui anche Ursula von der Leyen ha espresso attenzione, si alzano da più parti critiche verso quelle che vengono definite deportazioni in violazione dei diritti umani. Abbiamo chiesto una valutazione del provvedimento a Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia delle migrazioni nell'università di Milano. 



«In termini generali questa misura rientra in una tendenza generale dell’Unione europea di restringere gli spazi dell’accoglienza e della tutela dei diritti umani. Per l’attuale governo italiano è uno dei tre ambiti in cui si articola la sua politica migratoria, quello più in linea con le promesse elettorali il cui vero obiettivo è dissuadere i migranti ad approdare in Italia e spingersi a a dirigere le rotte migratorie verso altri Paesi, come già sta accadendo. Sono infatti aumentati gli sbarchi in Spagna e in particolare alle Canarie, con viaggi molto più lunghi e pericolosi».

Ma è corretto parlare di deportazione?
«In punta di diritto no, perché non si tratta di migranti che hanno messo piede sul suolo italiano, anche se sono stati intercettati da navi italiane. Diciamo che il termine più formalmente corretto è che sono dirottati in Albania».
 

Di fatto a monte viene operata una discriminazione tra i richiedenti asilo…
«Certo, perché sono stati stabiliti criteri precisi: solo uomini adulti proveniente da una lista di Paesi dichiarati sicuri. Ma va detto che la lista di questi Paesi è per lo meno discutibile, tanto che in Germania sono solo 9 mentre in Italia sono saliti a 24, compreso un caso critico come l’Egitto, definito sicuro a parte casi comprovati di violazione dei diritti, clausola che il contenzioso tra Italia ed Egitto per i casi Regeni e Zaki ha reso necessaria. Ma ha la Corte di giustizia europea ha già contestato questa inclusione contradditoria, l’Italia dovrà scegliere se l’Egitto è sicuro oppure no.. Temo che alla fine ci sarà una forzatura e la clausola di salvaguardia sarà tolta». 

Un’altra condizione restrittiva è il tempo concesso ai migranti per presentare domanda una volta entrati nei centri di accoglienza di Albania…
«Quattro settimana per raccogliere prove, documenti testimonianze sono molto poche, tempo che poi si riduce a una sola settimana per presentare appello qualora la richiesta sia respinta».

 

C’è uno stesso atteggiamento nei confronti di ogni richiedente asilo?
«Evidentemente non tutti godono dello stesso trattamento. E se una delle motivazioni è che in Italia non c’è abbastanza spazio per tutti, mentre diverso trattamento viene riservato un diverso trattamento viene riservato oggi ai migranti per motivi di lavoro. Inoltre riporto solo un dato su cui riflettere: dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina in poche settimane l’Europa ha accolto 4 milioni e mezzo i ucraini in fuga. E ancora, nei centri di accoglienza italiani la recettività er molto alta a metà dello scorso decennio, perché approntata nel momento di maggiore picco degli sbarchi, che ora sono diminuiti».

 

Ma è davvero un’emergenza per l’Italia la richiesta di asilo?
«L’Italia per lo più è un paese di transito, le richieste di asilo sono molto più numerose in altri paesi, come Germania, Francia, Spagna».

 

Esiste per legge un tetto massimo di richieste di asilo che si possono accogliere?
«No, perché dipende dalle crisi umanitarie, i flussi sono variabili e non prevedibili».
 

Ci sarebbero state altre soluzioni?
«Certo, bastava applicare quelle già previste. Come gli insediamenti a carico degli Stati (attivati in 40 paesi); i corridoi umanitari; i progetti speciali previsti per ricercatori, sportivi, personale sanitari; le sponsorizzazioni private, cpme quelle che hanno permesso, per esempio al Canada, di accogliere 400.000 richieste tra cui quelle di 40.000 siriani. Ma la propaganda vuole le sue misure a effetto».