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Massimiliano Di Pasquale
Mentre Donald Trump è tornato ad attaccare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e a svilire l’Europa, affermando che «sta andando in una brutta direzione», Vladimir Putin ha ribadito con fermezza che Mosca prenderà il Donbas perché, secondo il leader del Cremlino, storicamente apparterrebbe alla Russia. La questione dei territori occupati è uno dei punti cruciali del cosiddetto piano di pace Usa.
Ma cos’è storicamente il Donbas, che Putin rivendica come russo per giustificare la guerra? Abbiamo provato a delineare confini, sviluppo storico e sociale di questa regione dell’Ucraina orientale, composta dalle oblast (regioni) di Donetsk e Luhanks, con Massimiliano Di Pasquale, ucrainista, saggista, esperto di guerra cognitiva russa, direttore dell’Osservatorio Ucraina dell’Istituto Gino Germani di Scienze sociali e studi strategici di Roma, il quale osserva: «Il Donbas dal punto di vista storico non è mai stato una regione russa e se dopo quasi quattro anni di guerra dobbiamo ancora spiegarlo è perché nella guerra ibrida, cognitiva, i russi sono abilissimi e hanno trovato una terreno molto fertile e permeabile in Italia».


Insieme alla giornalista ucraina Iryna Kashchey alcuni mesi fa Di Pasquale ha redatto per l’Istituto Germani uno studio dal titolo Narrazioni strategiche russe nei libri di testo delle scuole secondarie di primo grado italiane che indaga la penetrazione e l’influenza russa nella cultura italiana. «Abbiamo condotto una ricerca su una trentina di testi di geografia», spiega lo studioso, «e abbiamo constatato che queste narrazioni influenzate dalla visione russa sono ricorrenti e sono tra l’altro molto simili a quelle usate da Putin per costruire la sua guerra. Una di queste narrazioni la troviamo proprio nella descrizione del Donbas, che viene generalmente presentato come una regione russa perché avrebbe una popolazione in maggioranza russa. In realtà questo non è vero e lo si evince dai censimenti. Volutamente si confonde il russo con il russofono e allora bisognerebbe spiegare cos’è stato il processo di russificazione, per il quale agli ucraini è stato imposto l’insegnamento della lingua russa. In Donbas non c’è mai stata una popolazione in maggioranza russa. C’è sempre stata una maggioranza ucraina che, a partire dal Secondo dopoguerra, era prevalentemente russofona. Se guardiamo il censimento del 1897 – durante l’Impero russo – il Donbas era in maggioranza ucraino».
La stessa definizione di Donbas – che significa “bacino del fiume Donets” – è cambiata nel tempo: Di Pasquale spiega che si tratta di un’accezione tradizionalmente economica di una regione che in passato comprendeva anche una zona della Russia (Rostov) e un’area dell’oblast di Dnipro, aveva dei confini differenti. Oggi si identifica con Donetsk e Luhansk. «Poi, con la nascita dell’industria siderurgica e lo sfruttamento delle miniere di carbone – uno sviluppo che, va chiarito, era portato avanti essenzialmente dagli europei, non dai russi - il Donbas ha cominciato a cambiare: la popolazione è mutata, pur rimanendo in maggioranza ucraina, ed è cominciato il processo di russificazione. Lo stesso processo che, oggi, viene attuato a Mariupol: dopo averla rasa al suolo nel 2022, adesso i russi hanno cominciato a ripopolarla con persone provenienti dalle zone più povere e remote della Russia e i pochi ucraini rimasti sono costretti a subire la russificazione o vessazioni. Una realtà di cui nessuno parla e che avviene non solo a Mariupol ma in tutti i territori occupati».
Nel secondo dopoguerra, nelle miniere del Donbas arrivarono a lavorare tanti carcerati dalla Russia, con lo sconto di pena. «Una volta liberi, gli ex detenuti entravano nelle reti della criminalità, che sono state ampiamente alimentate. Va infatti sottolineato che la corruzione in Ucraina – di cui oggi si parla molto a causa del maxi-scandalo che ha investito la politica - è un retaggio del sistema corruttivo proprio dell’Unione sovietica, non è certo un fenomeno nato in questi ultimi anni».
Arrivando all’Ucraina indipendente, dal 1991 fino al 2014, ovvero la vigilia dello scoppio della guerra del Donbas - con l’insurrezione e la secessione delle Repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk appoggiate e alimentate da Mosca – la popolazione era sempre in maggioranza ucraina e parlava in prevalenza russo. Che non vuol dire che si sentisse russa. «Va ricordato che nel 1991 al referendum sull’indipendenza dell’Ucraina nel Donbas otto cittadini su dieci hanno votato a favore». E in quella regione, chiarisce ancora lo studioso, ucraini e russi si sono mescolati, hanno creato famiglie miste, non hanno mai avuto problemi fra di loro, prima della guerra. «Uno studio del Pew research center subito dopo l’annessione della Crimea alla Russia, nel 2014, ha evidenziato come solo il 18% degli abitanti del Donbas fosse favorevole alla divisione del Paese. Sei russofoni su dieci di quella regione erano contrari alla secessione».
Attualmente il territorio del Donbas è per circa il 70% occupato dalle forze russe. Una parte del Donetsk – tra cui Pokrovsk e Kramatorsk - è ancora sotto controllo ucraino. «L’esercito russo perde sul campo 1.100 soldati al giorno. Putin sta cercando di ottenere dagli Usa quello che non riesce a conquistare sul campo», osserva ancora Di Pasquale. Kyiv dal conto suo resiste e il presidente Zelensky ha ribadito che l’Ucraina non cederà alcun territorio a Mosca, perché questo è escluso dalla Costituzione stessa del Paese e sarebbe contro la legge. «Gli ucraini vanno avanti a combattere e difendersi perché non hanno altra scelta: o combattono o verranno eliminati. E noi non ci rendiamo conto che oggi l’Ucraina è un baluardo dell’Europa stessa: se la Russia dovesse vincere diventerebbe un rischio serio per noi europei».





